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Coronavirus, un po' di formaggio svizzero per i topi della disinformazione

È corretto, in questa fase pandemica, confrontare le differenze tra Regioni nell’indice di mortalità per i malati di COVID-19? Che cosa accade quando il nuovo-coronavirus contagia i pazienti con malattie pregresse?

Coronavirus, un po' di formaggio svizzero per i topi della disinformazione

Qual è il rischio di prendere lucciole per lanterne e fischi per fiaschi e come proteggerci dal "topo della disinformazione" mediante il modello del formaggio svizzero a multistrato?

I timori generati da una pandemia sono dovuti alla mortalità, relativamente elevata in un ristretto arco di tempo, ma è impossibile individuare il quoziente di letalità (il rapporto tra il numero di morti e il numero di malati di una determinata malattia) mentre l'infezione si sta diffondendo ed è difficile farlo anche dopo la fine di una pandemia. Ciò è quanto accade anche con il nuovo-coronavirus (SARS-CoV-2). [1] Nei social e sui media è un pullulare di elaborazioni statistiche riportanti i confronti della letalità, con la conseguente richiesta di spiegazioni del perchè nella tale regione, o nella tale provincia, si muoia di più di COVID-19 rispetto all'altra, nella segreta speranza di additare "il colpevole". Ti chiedo, mio caro lettore, se è corretto confrontare il quoziente di letalità senza aver operato una stratificazione per sesso ed età dei malati in esame? Se è corretto confrontare la letalità senza tener conto dei possibili effetti di “confondimento” di altre numerose variabili oltre al sesso e all’età, come ad esempio la diversa prevalenza delle malattie cronico-degenerative, tenuto conto della “sovrapposizione” dell’infezione da nuovo-coronavirus su condizioni morbose croniche preesistenti, come, ad esempio, il diabete, le cardiopatie, l’ictus o le broncopneumopatie? Non si rischia di scambiare “lucciole” per “lanterne” e di prendere “fischi” per “fiaschi”? 

Purtroppo, anche per la COVID-19 è complicato confrontare le differenze del quoziente di letalità tra le singole Regioni, tra le province di una stessa Regione o anche tra ambiti territoriali provinciali. É complicato per due ragioni: una relativa all’approccio epidemiologico, l’altra all’interazione della diffusione del virus in una popolazione afflitta già da malattie cronico-degenerative. L'approccio epidemiologico consiste nel calcolare il quoziente di letalità mediante il rapporto tra le morti confermate associate a un virus divise per il numero di casi. Il numeratore (certificati di morte che indicano la causa della mortalità) è pressoché certo e il conteggio è abbastanza affidabile. Ma la scelta del denominatore introduce molte incertezze. Quali "casi"? Solo le infezioni confermate in laboratorio con il tampone molecolare o il numero totale di infezioni inclusi i casi asintomatici? 

Il numero dei casi testati è noto con elevata accuratezza, ma quello totale delle infezioni deve essere stimato basandosi sugli studi sierologici sulla popolazione (ricerca di anticorpi nel sangue), utilizzando varie equazioni di crescita per modellare la diffusione passata di una epidemia, oppure assumendo i moltiplicatori più probabili (x persone infette per y persone che sono effettivamente morte). Come con ogni pandemia, quindi, dovremo aspettare fino a quando COVID-19 farà il suo corso per avere un quadro chiaro di quanto sia stata grave. Solo allora saremo in grado di fare i conteggi effettivi o, poiché potremmo non conoscere mai il numero totale di persone infette a livello nazionale e regionale, potremmo semplicemente offrire le nostre migliori stime e confrontare i risultati dei quozienti di letalità del caso. Questa è una delle lezioni algebriche più basilari: potremmo conoscere il numeratore esatto, ma a meno che non conosciamo il denominatore con una certezza comparabile, non possiamo calcolare il quoziente preciso. Le incertezze non scompariranno mai del tutto, tuttavia a pandemia terminata avremo una comprensione molto migliore della sua reale portata.

Ma quello che abbiamo imparato finora ci dice che la storia di COVID-19 non è così semplice. Due categorie di malattie interagiscono all'interno di popolazioni specifiche: l'infezione da nuovo-coronavirus, con la sua “sindrome respiratoria acuta grave”, e le malattie cronico-degenerative presenti nella popolazione. [2] Questa interazione, denominata “sindemia”, è soprattutto una conseguenza dell'ineguaglianza sociale e di politiche che divaricano ancor più tali disuguaglianze. Le sindemie hanno svolto un ruolo importante nella storia delle malattie e stanno attualmente avendo un impatto significativo su popolazioni diverse e probabilmente avranno un'influenza consequenziale sul profilo di salute emergente del ventunesimo secolo. [3] Di conseguenza, il concetto di sindemia sta ricevendo un crescente livello di attenzione nel campo della salute pubblica, tra gli scienziati sociali interessati alla salute e anche in altre discipline che si concentrano sugli effetti sulla salute delle condizioni sociali e ambientali. Nelle varie discipline, non solo mediche, una comprensione “sindemica” della malattia ha finalmente raccolto molto interesse. Infatti, è generalmente riconosciuto che l'approccio biomedico tradizionale alla malattia - un approccio che ha dominato il pensiero sulla salute per tutto il ventesimo secolo - è il risultato di uno sforzo per isolare dal punto di vista della diagnosi, di studiare da vicino e di trattare terapeuticamente i singoli casi di malattia, come se ogni malattia fosse un'entità distinta, la quale esiste separata dalle altre malattie e indipendente dai contesti biosociali in cui è stata individuata. [2-3]

Questo approccio si è rivelato utile a suo tempo nel focalizzare l'attenzione clinica sulle cause immediate e le espressioni biologiche della malattia (visto come qualsiasi cambiamento dannoso che interferisce con la normale forma, struttura o funzione del corpo o di qualsiasi sua parte o sistema), all'emergere di diversi trattamenti medici e chirurgici per specifiche malattie, alcuni dei quali hanno avuto un enorme successo, specialmente per le condizioni acute. [4-7] Tuttavia, oggi tale approccio, anche nei confronti dell'emergenza epidemiologica da COVID-19 non è più utile. Anzi, come abbiamo visto, può rivelarsi foriera di fraintendimenti ed errori. A tal proposito basta leggere i dati relativi alla mortalità, appena diffusi dall’Istituto Superiore di Sanità. *

Una lettura davvero istruttiva se si utilizzano le “lenti” della sindemia, circa “l’incontro” del nuovo-coronavirus con le patologie croniche preesistenti.

<<3. Patologie preesistenti 

La tabella 2 presenta le più comuni patologie croniche preesistenti (diagnosticate prima di contrarre l’infezione) nei pazienti deceduti. Questo dato è stato ottenuto da 5726 deceduti per i quali è stato possibile analizzare le cartelle cliniche. Il numero medio di patologie osservate in questa popolazione è di 3,6 (mediana 3, Deviazione Standard 2,1). Complessivamente, 180 pazienti (3,1% del campione) presentavano 0 patologie, 712 (12,4%) presentavano 1 patologia, 1060 (18,5%) presentavano 2 patologie e 3774 (65,9%) presentavano 3 o più patologie

10. Decessi di età inferiore ai 50 anni 

Al 2 dicembre 2020 sono 657, dei 55.824 (1,2%), i pazienti deceduti SARS-CoV-2 positivi di età inferiore ai 50 anni. In particolare, 163 di questi avevano meno di 40 anni (102 uomini e 61 donne con età compresa tra 0 e 39 anni). Di 29 pazienti di età inferiore ai 40 anni non sono disponibili informazioni cliniche; degli altri pazienti, 119 presentavano gravi patologie preesistenti (patologie cardiovascolari, renali, psichiatriche, diabete, obesità) e 15 non avevano diagnosticate patologie di rilievo.>>

E tra le patologie croniche preesistenti quelle più frequenti tra i pazienti COVID-19 deceduti troviamo il diabete-2, la cardiopatia ischemica, lo scompenso cardiaco, la demenza, l'insufficienza renale cronica e la broncopneumopatia cronico ostruttiva, ecc. I pazienti morti per COVID-19, i quali avevano 2 o più patologie croniche preesistenti, costituiscono oltre l’84% dei decessi.

Ed allora, mio caro lettore, l’epidemiologia (così come la statistica) è una materia da maneggiare con cura, perchè ha a che fare con la prevenzione, e non può permettersi di scambiare “lucciole per lanterne” e prendere “fischi per fiaschi”, se non altro perchè la salute è un bene primario che va tutelato anche dalle scemenze. E a proposito di scemenze, mio caro lettore, ti segnalo un ottimo articolo pubblicato da poco sul The New York Times", che possiamo chiamare il Il modello di protezione del formaggio svizzero.**  Dal distanziamento fisico ai vaccini, ci sono molti livelli di difesa che possono proteggerci da COVID, ma nessuno di loro è impenetrabile. Il modello multistrato del "formaggio svizzero" ci aiuta a visualizzare come, quando combiniamo tutte le strategie, nessun foro lascia passare il virus. "Non si tratta in realtà di un singolo strato di protezione o dell'ordine di essi, ma del successo aggiuntivo dell'utilizzo di più strati o fette di formaggio", afferma il virologo Ian Mackay, che ha applicato il modello di formaggio svizzero a COVID, illustrato con una pila di fette bucate dell'omonimo formaggio. E il "topo della disinformazione" può sgranocchiare uno qualsiasi di questi livelli. La mia speranza è di aver aggiunto una fetta al formaggio a protezione dello sgranocchiamento del topo della disinformazione. 

NOTE

* Istituto Superiore di Sanità. Caratteristiche dei pazienti deceduti positivi all'infezione da SARS-CoV-2 in Italia. (Disponibile all’indirizzo web: www.epicentro.iss.it)

** Siobhan Roberts. The Swiss Cheese Model of Pandemic Defense. The New York Times, Published Dec. 5, 2020. Updated Dec. 7, 2020. (Disponibile all’indirizzo: www.nytimes.com)


Bibliografia

1 . Onder G, Rezza G, Brusaferro S. Case-Fatality Rate and Characteristics of Patients Dying in Relation to COVID-19 in Italy. JAMA. 2020 May 12;323(18):1775-1776. doi: 10.1001/jama.2020.4683. Erratum in: JAMA. 2020 Apr 28;323(16):1619. PMID: 32203977.

2 . Horton R. Offline: COVID-19 is not a pandemic. Lancet. 2020 Sep 26;396(10255):874. doi: 10.1016/S0140-6736(20)32000-6. PMID: 32979964; PMCID: PMC7515561.

3 . Singer M, Bulled N, Ostrach B, Mendenhall E. Syndemics and the biosocial conception of health. Lancet. 2017 Mar 4;389(10072):941-950. doi: 10.1016/S0140-6736(17)30003-X. PMID: 28271845.

4 . Tsai AC, Mendenhall E, Trostle JA, Kawachi I. Co-occurring epidemics, syndemics, and population health. Lancet. 2017 Mar 4;389(10072):978-982. doi: 10.1016/S0140-6736(17)30403-8. PMID: 28271848; PMCID: PMC5972361.

5 . Mendenhall E. Syndemics: a new path for global health research. Lancet. 2017 Mar 4;389(10072):889-891. doi: 10.1016/S0140-6736(17)30602-5. PMID: 28271827.

6 . Hart L, Horton R. Syndemics: committing to a healthier future. Lancet. 2017 Mar 4;389(10072):888-889. doi: 10.1016/S0140-6736(17)30599-8. PMID: 28271826.

7 . The Lancet. Syndemics: health in context. Lancet. 2017 Mar 4;389(10072):881. doi: 10.1016/S0140-6736(17)30640-2. PMID: 28271823. 

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F. Michele Panunzio

F. Michele Panunzio

La prevenzione nutrizionale è la più potente medicina, ma non ama la solitudine. Ancelle le sono tutte le altre discipline mediche. Si accontenta di stare in disparte, ma in cuor suo sa di essere la padrona di casa per accogliere tutti. Non è esclusiva, né ha la puzza sotto il naso. Amo la prevenzione nutrizionale, fu amore a prima vista. Scelsi di fare il medico-igienista, ma anche di laurearmi in nutrizione umana, connubio perfetto per la mia professione. La collettività e l’individuo, il gruppo ed il singolo, i sani ed i malati, la prevenzione nutrizionale è per tutti ed è per sempre. Rispondo alle vostre domande, inviatele a: redazione@ilmattinodifoggia.it

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