IL MATTINO
Controverso
12.04.2020 - 10:51
È ormai un caso sociale ed antropologico quello dei foto-cecchini nascosti dalle finestre. Chi sono le vittime preferite del loro distanziamento sociale, definizione orribile della più opportuna distanza di sicurezza?
È l’epoca del grazie collettivo rivolto agli scienziati, ai medici, agli operatori sanitari, alle forze dell’ordine, ai tanti volontari, ai cassieri dei market, a chi smazza per far trovare quegli scaffali sempre pieni, insomma ai solitamente invisibili. Tra una pizza e una torta, ci si inchina ai tanti benefattori, il nuovo mecenatismo delle mascherine per intenderci e, comunque, sempre e solo in una direzione. Chi non ringrazia, almeno pubblicamente, con parole sempre uguali e a volte prive di significato pregnante, prova un senso di isolamento (come se non bastasse quello che si sta vivendo e che è ben diverso dalla solitudine, quella che molti scelgono e amano), o almeno di smarrimento. Sì, perché è davvero strabiliante percepire tanta bella umanità senza rimanere perplessi.
Però va bene così, l’Italia dell’odio, dell’uno contro l’altro a prescindere, sempre, o almeno spesso usa a parole violente, ha scoperto - e serviva una strage! - il valore della parola grazie, anche se il grazie non può essere solo un ricordo sbiadito dell’educazione da tirar fuori dal cassetto ma un qualcosa di profondo, di vissuto interiormente e non solo un’esternazione di massa che non porta a nessuna immunità di gregge dall’astio. Insomma, è una parola importante, profonda, vera e, quindi, mai scontata.
Ed infatti la gratitudine impiega un attimo a svanire e a far riemergere la “bestia” che è in noi, quella primordiale, mai davvero ammansita. Un esempio popolare. È ormai un caso sociale ed antropologico quello dei foto-cecchini nascosti dalle finestre. Chi sono le vittime preferite del loro distanziamento sociale, definizione orribile della più opportuna distanza di sicurezza? Gli altri indistintamente, anche quell’anestesista sconosciuto che passa, senza mascherina e guanti d’ordinanza, e caso mai ha appena concluso il turno di notte curando vite, chiunque non sia in quello stesso istante, nascosto da una tenda, a usare il telefono come arma di distruzione di tanta grata umanità per far rimontare la rabbia collettiva, l’odio, l’uno contro l’altro, l’auto assolutore e l’untore, il presunto tale.
Insomma, ognuno, e non si sa perché, ritiene di poter e dover vestire i panni del “signor censore”, come se già non bastassero la nostra privacy sott’attacco e la nostra democrazia, il suo esercizio, traballante, quasi negata. Sì, perché di questo si tratta. Ed è opportuno dirlo perché il rischio è che, dopo questo periodo, qualcuno potrebbe cadere in tentazione e pensare che così è meglio. Ma non è meglio, assolutamente. La limitazione delle libertà individuali non può appartenere all’oggi e tanto meno al domani. È già accaduto ed ha portato solo disastri.
Mentre si pensa a come e chi saremo dopo è bene riflettere su come e chi siamo oggi. Da un lato grati naviganti in un fiume mieloso, dall’altro fomentatori di insulti, spesso gratuiti. La melliflua rappresentazione della gratitudine potrà risultare anche indigesta ma i rigurgiti acidi nell’additare malamente gli altri, sempre e solo gli altri, pubblicamente e no, è la conferma che forse è già inutile immaginare un come saremo.
Creare eroi e demoni è stata sempre un’arte sottile. L’assembramento del gregge di San Marco in Lamis, per tornare dalle nostre parti, con tanto di mascherine e distanza di sicurezza precaria, può essere un capitolo a parte.
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