IL MATTINO
AntichiRitorni
01.09.2019 - 10:05
Non c’è da stupirsi, dal momento che la commedia greca si basava su tre tematiche: cibo, sesso e attacchi verbali, ovvero volgarità a tutto spiano che dovevano suscitare il riso.
Di insulti gli antichi (Greci e Romani) ne avevano a quantità ma anche di ‘gestacci’, alcuni dei quali sono arrivati fino a noi e si usano tutt’oggi. Farà forse sorridere la storia dei “digitus impudicus” ovvero il ‘dito medio’, le cui prime testimonianze risalgono alla commedia attica antica. Non c’è da stupirsi, dal momento che la commedia greca si basava su tre tematiche: cibo, sesso e attacchi verbali, ovvero volgarità a tutto spiano che dovevano suscitare il riso. L’elemento sessuale era fortemente presente sulla scena, al punto che gli attori indossavano calzamaglie imbottite che ricoprivano l’intero corpo su cui veniva indossato un chitone molto corto affinché si vedessero le parti intime, ossia un fallo sempre eretto a 45 gradi (ovviamente quest’ultimo era finto e faceva parte della calzamaglia). Ebbene, in questo contesto più che mai troviamo per la prima volta la ‘citazione’ di un ‘dito medio’ da parte del commediografo Aristofane (V sec. a.C.) che, nelle “Nuvole”, mette in scena un personaggio (Strepsiade) che gesticola con il ditus impudicus; giocando anche sul significato ambiguo della parola ‘dattilo’ che alludeva sia ad una unità metrica sia alla lunghezza anatomica del fallo (vv. 652 ss.). Il termine greco per designare il dito medio era anche καταπύγων (katapygon) che voleva dire “lascivo, libidinoso” per indicare solitamente un ‘cinedo’ (cioè un giovinetto compiacente con gli omosessuali); si evince pertanto che il termine, accompagnato, dal gesto era un vero e proprio insulto di genere a sfondo sessuale. Consultando il “Lessico del comico” (http://www.lessicodelcomico.unimi.it/scostumato/) per questo lemma, si potrà leggere che nelle “Donne alla Tesmoforie” (sempre di Aristofane) un personaggio, Agatone, è accusato di essere un «inculato» che «ha il culo largo non a parole ma a fatti» (vv. 200 ss.); il grammatico Polluce nel suo “Onomasticon” (6, 126) sostiene che katapygon sia sinonimo di κίναιδος («cinedo»), πόρνος («prostituto»), γυναικίας («effemminato»), ἀσελγής («lascivo») o μαλθακός («molle»). Secondo lo studioso Henderson*, il vocabolo accompagnato dal gesto non era una semplice offesa ma un’accusa di passività sul piano sessuale. Veniamo al mondo latino. Qui l’insulto è sentito come meno attinente all’inclinazione sessuale dell’individuo e viene per lo più utilizzato a mo’ di offesa: Isidoro di Siviglia, nelle sue “Etimologie” (11, 1, 71), dice che «il terzo dito della mano è chiamato "impudicus" perché "sovente tramite esso si esprime ammonimento nei confronti di un'azione vergognosa/impudica»; così come il poeta satirico Persio (satira 2, 33) parla di un “digitus infamis”. Il poeta Marziale ne fa citazione nei suoi Epigrammi: «Rideto multum qui te, Sextille, cinaedum Dixerit et digitum porrigito medium» = Sestilio, ridi a volontà di chi ti darà dell’invertito e mostragli il dito medio verso l’alto (2, 28). E potremmo continuare a lungo con le citazioni…
** J. Handerson, The Maculate Muse, New York - Oxford 1991 (1975¹).
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