IL MATTINO
AntichiRitorni
14.07.2019 - 01:46
Tra il V e il IV sec. a.C. il medico Ippocrate, considerato padre della medicina, fu il primo a sostenere che il cosiddetto “morbo sacro” non aveva nulla di divino ma era una malattia da ricondurre al cervello – si badi che Ippocrate non distingueva tra malattie mentali e fisiche, perché riteneva che corpo e mente fossero una sola cosa: se l’uno stava male, stava male anche l’altro
Un campo ancora molto delicato e di cui si tende a parlare poco è quello delle malattie mentali, considerato una branca della medicina assai ‘particolare’ già dai nostri antenati Greci e Latini. In particolar modo Seneca (I sec.) tendeva a distinguere il furiosus dal demens o amens, poiché, mentre il primo era colpito da una forma di ‘follia momentanea’, il secondo era affetto da una vera e propria malattia che ne precludeva, pertanto, la voluntas. Gli antichi Greci, invece, tendevano ad attribuire all’ira divina ogni tipo di malattia che avesse a che fare con la pazzia (μανία = manìa), ovvero chi manifestava dei comportamenti ritenuti “privi di senno” era certamente stato colpito da una qualche punizione divina o invasato da un demone; così come nel mito Aiace che fa scempio di bestiame, credendo che fossero i nemici, o Eracle, che uccide la moglie Megara e i figli (perché colpito da ‘pazzia’ da parte della dea Era/Giunone), e di qui numerosi exempla. Ma, tra tutte, la forma di malattia che più terrorizzava gli antichi era il “morbo sacro”, oggi meglio nota come epilessia. La parola è di origine greca, derivante dal verbo ἐπιλαμβάνομαι = epilambànomai, cioè “sono colto di sorpresa, sono assalito”, perché, a differenza di altre malattie, sopraggiungeva all’improvviso senza dare il tempo al malcapitato di accorgersi di cosa gli stava accadendo. Oggi l’O.M.S. ha definito l'epilessia come «un'affezione cronica ad eziologia diversa, caratterizzata dalla ripetizione di crisi che derivano da una scarica eccessiva di neuroni cerebrali» ma nel mondo antico era ritenuta la massima maledizione divina e si supponeva che vi si potesse porre fine solo se si cercava il favore degli dèi; tantissimi ad esempio si recavano nel tempio di Asclepio per cercare rimedio. Nella Roma antica, invece, era nota come “morbus comitialis”, dal momento che l’eventuale presenza di convulsioni epilettiche di un partecipante a un comizio era ritenuta di malaugurio e provocava lo scioglimento dell’adunanza. Non solo in Grecia e a Roma, ma persino nella Bibbia l’epilessia è scambiata per invasamento/possessione da parte di un demone: si noti che in Mc 9, 17-29 un uomo chiede a Gesù di guarire il figlio che «sin dalla nascita è affetto da un demone» e che non riesce ad essere guarito dagli discepoli, alla fine il Signore (dopo essere riuscito dove gli altri avevano fallito) afferma che «Questa specie di demoni non si può scacciare in alcun modo, se non con la preghiera». A ben guardare, tuttavia, i sintomi sembrano proprio quelli dell’epilessia: «Alla vista di Gesù lo spirito scosse con convulsioni il ragazzo ed egli, caduto a terra, si rotolava spumando».
Tra il V e il IV sec. a.C. il medico Ippocrate, considerato padre della medicina, fu il primo a sostenere che il cosiddetto “morbo sacro” non aveva nulla di divino ma era una malattia da ricondurre al cervello – si badi che Ippocrate non distingueva tra malattie mentali e fisiche, perché riteneva che corpo e mente fossero una sola cosa: se l’uno stava male, stava male anche l’altro – sostenendo «Questa malattia non mi sembra più divina di tutte le altre ma, come tutte le altre, ha una sua causa naturale»; in particolar modo lui pensava ad una malformazione del cervello o comunque ad una mancanza d’aria in esso: il medico greco cercava di spiegare l'epilessia come un eccesso di “flegma”, provocato da raffreddamenti che portano ad una secrezione eccessiva di muco da parte del cervello. Sebbene la spiegazione non fosse assai ‘scientifica’, tuttavia va ascritto ad Ippocrate il merito di essere stato il primo a ‘laicizzare’ tale malattia (o meglio sindrome) e aver, così, gettato le basi per studiare una soluzione.
Vorrei concludere con un pensiero di W. G. Lennox, il quale affermava che «i soggetti con epilessia soffrono molto di più per l’atteggiamento che la gente ha nei loro confronti piuttosto che a causa della malattia stessa».
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