IL MATTINO
AntichiRitorni
23.03.2019 - 23:24
Inquinamento e tutela ambientale, i Greci avevano già legiferato secoli e secoli fa
Venerdì 15 marzo gli studenti di più di un migliaio di città nel mondo hanno deciso di scioperare per il clima, guidati dalla giovanissima Greta Thunberg. L’inquinamento, il cambiamento climatico che ne è conseguenza, lo sfruttamento smisurato delle risorse sono tematiche che sembrano accompagnare il XXI° secolo, come se l’inquinamento ambientale fosse un problema unicamente contemporaneo e nel passato l’uomo vivesse come nella mitica età dell’Oro. Ebbene, indagando tra i testi antichi letterari ed epigrafici è venuta fuori una stele, ritrovata alle pendici orientali dell’acropoli di Atene, che contiene quello che possiamo considerare il primo “decreto ecologico” a noi noto, come lo definisce Livio Rossetti (che gli ha dedicato un ampio studio)**. Nel decreto, risalente al 430 a.C. e dunque all’età di Pericle, si dice che «Non è consentito né mettere pellami nell’Ilisso a monte del tempio di Eracle né praticare la concia di pelli né gettare gli scarti della lavorazione del cuoio nel fiume». Orbene il fiume in questione è l’Ilisso che – come capita spesso ai fiumi, ora come allora – è il principale ‘ricevitore’ degli scarti del lavoro che determina la contaminazione delle acque, che, a sua volta, ha ricadute sulla salute dei cittadini e, infine ma non ultimo, tutto ciò provoca anche una riduzione delle visite al tempio di Eracle (come si evince dal proclama). Sappiamo che nel giro di pochissimo tempo le concerie di pelli furono costrette a spostarsi di lì, per trasferirsi quasi fuori dalla città. Cosa ha spinto lo Stato a ‘cacciare’, senza se e senza ma, quelli che dovevano essere tra i cittadini più ricchi e potenti di Atene (proprietari e imprenditori) con una spesa da affrontare non di poco conto? Se a ciò si aggiunge – come rileva Rossetti – che c’era una forte sproporzione tra l’enormità del danno economico e il carattere immediato dei benefici (che potevano essere solo sperati), dobbiamo reputare che a ‘spaventare’ i politici e i legislatori di Atene era la peste. Quella peste scoppiata proprio nel 430 a.C. durante la guerra del Peloponneso, che un anno dopo (429 a.C.) avrebbe ucciso lo stesso Pericle. Dunque, è molto probabile che la pestilenza abbia agito da acceleratore per far sì che lo Stato provvedesse, immediatamente e senza badare a spese o proteste, ad allontanare tutto ciò che potesse nuocere alla salubrità dell’aria. Gli effetti furono positivi? A quanto pare sì. E la testimonianza principale è nel “Fedro” di Platone, dove il filosofo greco si sofferma ad ammirare proprio quella zona particolare che lui descrive per «la limpidezza delle acque e l’estrema gradevolezza dell’ambiente naturale», ovvero quando Platone scrive è passato un secolo e dobbiamo dedurre che il decreto abbia sortito gli effetti desiderati: la zona un tempo inquinata e maleodorante è divenuta un’oasi di bellezza. Tuttavia, se è vero che i nostri antenati Greci erano avanti in materia di leggi e regolamenti a tutela dell’ambiente, non possiamo non ricordare che è in Grecia che nasce per la prima volta il reato di “diaphthorà hydatos” cioè “corruzione/alterazione dell’acqua”; un crimine antichissimo - che a detta dello scrittore greco Plutarco risalirebbe al legislatore Solone (VII-VI sec. a.C.) - che dimostra l’attenzione delle autorità statali già in tempi remoti alla salvaguardia delle acque, con pene e sanzioni a carico di chi inquina.
Orsù, se è vero come sosteneva Virginia Wolf che «è al greco che torniamo quando siamo stanchi della vaghezza, della confusione e della nostra epoca», torniamo allora, magari ogni tanto, a guardare chi ci ha preceduto con occhi diversi, imitando e, magari, emulando gli esempi di civiltà che ci hanno lasciato in eredità.
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