IL MATTINO
AntichiRitorni
27.01.2019 - 01:03
Oggi voglio condurre la vostra attenzione sul pipistrello, l’unico mammifero volante, la cui natura ha da sempre affascinato i popoli. Il suo essere animale notturno ha fatto sì che la tradizione popolare lo associasse alle ‘tenebre’ e, dunque, a qualcosa di sinistro, sospetto, da collegare al male; come accade nel cristianesimo dal Medioevo in poi (non è un caso che Lucifero, l’angelo caduto, sia spesso rappresentato con ali di pipistrello). Questa indole notturna dell’animale è ben espressa nel suo nome latino “vespertilio”, derivante dalla parola vesper = vespero, crepuscolo; così come anche in greco era chiamato “nykterís” da nyx = notte; tuttavia sia i Greci che i Romani non temevano questo animale, né lo consideravano di cattivo auspicio, tanto che Plinio il Vecchio, nella sua “Storia Naturale” asserisce che «una testa di pipistrello secca, bagnata con il vino, fa restare svegli» (libro IV) e «il sangue di pipistrello messo in un fiocco di lana e poi sotto il capo delle donne aumenterebbe il desiderio amoroso, così anche la lingua di un’oca sia mangiata che bevuta», nel libro XXIX, invece, ricorda che «il grasso di questo animale veniva usato come rimedio per certe malattie dalle fattucchiere»; inoltre era tradizione inchiodare dei pipistrelli sulle porte delle case in segno di protezione dalle creature malefiche. La natura astuta (in senso positivo) del pipistrello è attestata nelle favole del celebre Esopo, come “L’uccellino e il pipistrello” e “Il pipistrello e la donnola”, ma più interessante per spiegare la natura del comportamento dell’animale è “Il pipistrello, il rovo e il gabbiano”, dove si racconta i tre anticamente volevano fondare una piccola società commerciale: il rovo aveva lana, seta, cotone; il gabbiano rame; il pipistrello si prodigò per procurare il denaro necessario per l'acquisto di una buona imbarcazione. Sfortunatamente un temporale inghiottì nave e carico, da allora il rovo strappa vestiti a chi gli si avvicina per recuperare ciò che ha perso, il gabbiano sta appollaiato sugli scogli nell’attesa che il mare gli restituisca il rame, il pipistrello invece esce solo di notte e si nasconde nelle grotte per sfuggire ai creditori. Oltre alla graziosa storiella di Esopo, un altro mito che parla di una trasformazione in pipistrello (questa volta come punizione) è quello narrato da Ovidio, che ha come protagoniste le figlie del re Minia (Alcitoe, Leucippe e Arsippe). In Beozia (regione della Grecia sopra l’Attica) si celebravano i culti in onore di Dioniso/Bacco, in quel giorno tutta la popolazione abbandonava ogni attività per dedicarsi solo alle celebrazioni del dio, ad eccezione delle figlie del re, che, disprezzando Bacco, continuarono a filare la lana e obbligarono a lavorare anche le loro ancelle. Mentre parlano contro le celebrazioni però… «una membrana si stende tra i loro arti rimpiccioliti e imprigiona le braccia in un tenue velo. Le tenebre non permettono di capire in che modo abbiano perduto la figura di prima. […] quando tentano di parlare emettono una voce sottilissima, proporzionata al corpo, e si lamentano tra loro con sommessi squittii. Abitano in luoghi coperti, non nei boschi; e poiché detestano la luce, volano di notte, e prendono il nome dalla tarda sera, dall’ora vespertina». Forse è proprio dal racconto ovidiano che nasce l’idea che i pipistrelli non possano vedere (in realtà non è così), ma sicuramente Ovidio come Esopo attribuisce a questo animale il volersi ‘nascondere’ in virtù di qualcosa. Da qui probabilmente l’accezione negativa che gli è stata poi attribuita dal cristianesimo in poi, fino alla celebre leggenda del conte Dracula: il pipistrello vampiro per antonomasia.
Nell’augurare ai nostri lettori una buona domenica, vi allego la celebre ouverture de “Il Pipistrello” di Strauss: https://www.youtube.com/watch?v=gPybrOxRoT4
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