IL MATTINO
AntichiRitorni
16.12.2018 - 00:40
Non sappiamo quale associazione potrebbe esserci tra la tradizione celtica e quella greca, fatto sta che questi antichi simboli pagani in uso in due parti del mondo così diverse e lontane sono confluiti poi nel cristianesimo che li ha risemantizzati e fatti propri con nuovi significati propiziatori.
Manca ormai poco al Natale e già le case pullulano di addobbi e luci natalizie, i più tradizionalisti fanno il presepe, altri prediligono l’albero, il classico abete che torreggia addobbato di tutto e di più. Se il presepe è una tradizione tutta italiana, risalente secondo la leggenda a San Francesco d’Assisi, l’abete invece risale all’usanza celtica di decorare alberi sempreverdi durante le celebrazioni per il solstizio di inverno; questo, in virtù del fatto che sta a simboleggiare l’idea di rinascita e futura prosperità della natura, che, dopo il gelo invernale, si prepara a tornare al suo splendore. L’associazione con la nascita di Cristo Redentore è più che ovvia, dal momento che Gesù è linfa vitale, albero della vita, che conduce attraverso di lui l’umanità a nuova esistenza. A questa associazione metaforica se ne aggiunge un’altra, sulla scorta di un testo medievale quale la “Leggenda aurea” di Jacopo da Varazze, in cui l’autore spiega che il legno della croce di Cristo sarebbe stato ricavato da un ramoscello dell'Albero della Vita del Paradiso Terrestre, che l'arcangelo Michele avrebbe donato a Set per portare conforto al padre Adamo moribondo; alla luce di ciò, l’albero, inteso come “albero della vita”, è stato anche associato alla figura salvifica di Cristo e alla croce della Redenzione, fatta appunto di legno. Fin qui è una storia forse abbastanza nota, quello che invece è sconosciuto ai più è che qualcosa del genere, prima ancora che fra gli antichi Celti, esisteva già tra i nostri antenati Greci. Infatti ad Atene era solito essere portato in processione da giovanetti, e poi appeso alle porte delle case, un alberello d’olivo (pianta assai diffusa nella regione e sacra alla dea Atena), fasciato di bende di lana e sul quale si appendevano le primizie dedicate agli dèi, solitamente frutti invernali come castagne e noci, oltre che mele e pere (proprio come nella tradizione celtica più antica); questo era chiamato “eiresione” (εἰρεσιώνη) o “iresione” (come riferisce lo scrittore Plutarco, “Theseus” 22); inoltre, eiresione era anche il nome del canto che questi ragazzi intonavano di porta in porta (un po’ come i moderni cori natalizi) mentre portavano l’albero. Ciò avveniva soprattutto nei periodi di ‘passaggio’, come primavera e autunno, per essere di buon auspicio per i raccolti, in particolar modo durante le feste Pianepsie e Targelie, in onore del dio Apollo (non a caso divinità solare e, come Gesù, associato alla ‘luce’). Non sappiamo quale associazione potrebbe esserci tra la tradizione celtica e quella greca, fatto sta che questi antichi simboli pagani in uso in due parti del mondo così diverse e lontane sono confluiti poi nel cristianesimo che li ha risemantizzati e fatti propri con nuovi significati propiziatori. Un’idea? Tornare ad addobbare il nostro albero con dolciumi e frutta. Che ne dite?
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