IL MATTINO
AntichiRitorni
04.03.2018 - 01:21
Ricostruzione di Leo von Klenze, 1846
Quella di ‘cittadino’ era una vera e propria carica, nonché un dovere civico che imponeva di partecipare attivamente al governo della città. Non è un caso che i membri del governo erano non eletti ma estratti a sorte tra tutti gli ateniesi e si rinnovavano ogni anno…
Siamo ormai giunti alla fatidica data delle elezioni, si vedrà da chi e da quale fazione il nostro Paese sarà governato. Un Paese ‘democratico’ sulla carta ma dove effettivamente i cittadini decidono ben poco, specie con l’approvazione del Rosatellum. Orbene, in quest’aria di finta democrazia, dove i ‘giochi’ sono abilmente condotti e dove si fa credere ai cittadini che il loro voto valga davvero qualcosa, il pensiero non può che correre all’antica Atene, “patria della democrazia”, come sosteneva il suo massimo esponente: Pericle. «Il nostro sistema politico non si propone di imitare le leggi di altri popoli: noi non copiamo nessuno, piuttosto siamo noi a costituire un modello per gli altri. Si chiama democrazia, poiché nell’amministrare si qualifica non rispetto ai pochi, ma alla maggioranza» così lo storico Tucidide (V sec. a.C.) ricorda il discorso di Pericle. In cosa consisteva questa democrazia? E perché gli ateniesi ne andavano fieri? Si tratta di un sistema abbastanza complesso che rendeva tuttavia davvero il cittadino protagonista della vita politica; non è un caso che il termine greco per dire ‘cittadino’ è “polites”, da cui è derivato il nostro “politico”. Nella lingua italiana questo termine ha una sua specifica accezione ma in quella greca indicava semplicemente colui che era nel pieno dei suoi diritti di cittadinanza, poiché essere cittadino e politico era la stessa cosa; una facoltà non era disgiunta dall’altra (!). Innanzitutto la popolazione dell’Attica era divisa in tre tribù, in ciascuna tribù venivano estratti a sorte ogni anno 50 membri che andavano a costituire la Boulé dei 500 (che aveva il compito di elaborare le leggi e presiedere al governo della città). Avete letto bene: ‘estratti’! Eh già, perché nell’antica Atene chi partecipava al governo della città doveva essere estratto e non dovevano essere sempre gli stessi, questo per garantire davvero a tutti di partecipare al governo della città (e ciò era un dovere civico, non una possibilità!). I restanti cittadini si riunivano nell’ecclesìa, cioè l’assemblea, a cui tutti potevano partecipare per fare qualunque proposta e prendere attivamente decisioni. Accanto a questi organi di governo c’erano poi gli heliea, ovvero i tribunali popolari; anche qui a turno e per sorteggio annuale gli stessi cittadini ateniesi erano chiamati a rivestire i panni di giudici per deliberare su cause e controversie di altri cittadini (si badi che non esistevano avvocati, dunque ognuno si difendeva da sé). Mente per i delitti più gravi, come i reati penali, gli omicidi, etc. c’era il sommo tribunale dell’Areopago (così chiamato perché situato sul colle del dio Ares) che era il consiglio degli anziani, composto dagli arconti della città: una specie di somma magistratura. Ma proprio tutte le cariche erano estratte a sorte? Non tutte, ad es. quelle dove occorreva un’esperienza certificata - quale quella di stratego (ovvero comandante dell’esercito) - erano per elezione tra i migliori. Questo sistema così ‘perfetto’ aveva certo delle lacune. Infatti, se è vero che tutti i cittadini potevano accedere alle cariche pubbliche, bisogna tuttavia spiegare che la concezione di ‘cittadinanza’ era molto ristretta: erano cittadini solo i maschi che avevano compiuto la maggiore età e dovevano avere entrambi i genitori ateniesi; non erano dunque ammessi le donne (che pure godevano dei diritti civili ma non di quelli politici), gli schiavi, chi avesse solo un genitore ateniese, gli stranieri e neppure i nullatenenti. Eh già! per governare la città bisognava pur possedere qualcosa. Ebbene, forse la forma di governo perfetta non esiste, ma gli ateniesi si erano avvicinati molto…
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