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Il bullismo, la bulla e il dio Libero

Simboli apotropaici e riti di passaggio dell’antica Roma

Il bullismo, la bulla e il dio Libero

Nell’antica Roma gli adolescenti erano tali perché indossavano la cosiddetta “bulla” [...]. Il passaggio dall’adolescenza all’età adulta era sancito proprio dalla dismissione della bulla; questa era infatti una sorta di collana con un medaglione che veniva messa al collo del bambino appena nato e che il ragazzo doveva portare fino ai 16/17 anni...

Molte sono le etimologie dei termini ‘bullo’ e ‘bullismo’. Derivanti certamente dall’inglese bully, tuttavia non è chiaro come abbiano acquisito il significato attuale; difatti bully aveva in origine il significato di “tesoro, bravo ragazzo”, e nemmeno reggono le possibili derivazioni - riportate da alcuni siti - dall’olandese boel = fratello o dal tedesco boele o bule. In ogni caso si tratta di un atteggiamento tenuto da ragazzi, per lo più non maggiorenni, verso altri ragazzi coetanei o più piccoli. Il ‘discrimen’ a mio parere è dunque proprio nel fattore età: per definizione il bullo è un ragazzino (se difatti fosse un uomo adulto non rientrerebbe in questa definizione per status). Di qui mi viene in mente che nell’antica Roma gli adolescenti erano tali perché indossavano la cosiddetta “bulla”, simbolo del loro status di persone non ancora giunte alla maggiore età. Il passaggio dall’adolescenza all’età adulta era sancito proprio dalla dismissione della bulla; questa era infatti una sorta di collana con un medaglione (all’interno del quale c’erano degli amuleti) che veniva messa al collo del bambino appena nato e che il ragazzo doveva portare fino ai 16/17 anni, quando cioè nell’antica Roma si dismettevano i ‘panni’ da adolescente e si indossava la toga virile, diventando a tutti gli effetti un cittadino romano. La bulla era solitamente d’oro, per le famiglie più abbienti, ma anche di cuoio o stoffa, per i ceti sociali che non potevano permettersi materiali costosi, e aveva un valore apotropaico, ossia doveva proteggere il bambino dagli spiriti maligni; se ci pensate bene non è molto diversa dall’attuale tradizione che prevede l’uso del cosiddetto ‘abitino’ di stoffa, all’interno del quale è cucita un’immagine sacra, spesso fornito al bambino negli ospedali a qualche giorno dalla nascita, o l’uso apotropaico che si dà alla collana del battesimo, regalata al bambino in tale occasione per proteggerlo. Simboli e tradizioni antiche, dunque, che si conservano fino ai giorni nostri, benché riformulate. E le ragazze? Anche loro avevano degli amuleti? Certamente.

Alle bambine veniva, invece, messa al collo la “lunula”, che, come si evince dal nome, era una piccola luna (sempre con funzione protettrice) che le ragazze toglievano solo al momento del matrimonio, che rappresentava – nel loro caso – il vero rito di passaggio dall’adolescenza all’età adulta, o meglio da puellae (fanciulle) a uxores (mogli) e matres (madri). Per gli uomini la cerimonia che prevedeva questo simbolico passaggio, come anzidetto, avveniva ad una precisa età ma anche in un giorno dell’anno preciso, il 17 marzo, poiché in quel giorno si festeggiava il dio Libero (associato a Dioniso/Bacco), dinanzi al quale veniva compiuta una vera e propria cerimonia che consisteva non solo nella deposizione della bulla, ma anche nel poggiare sull’altare del dio la barba derivata dalla prima rasatura.

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Alba Subrizio

Alba Subrizio

«E quel giorno che ha potere solo sul mio corpo e su null’altro, ponga pure fine, quando vorrà, alla mia vita. Con la miglior parte di me volerò eterno al di sopra degli astri e il mio nome non si potrà cancellare, fin dove arriva il potere di Roma sui popoli soggiogati, là gli uomini mi leggeranno, e per tutti i secoli vivrò della mia fama…». Così Publio Ovidio Nasone conclude il suo capolavoro “Le Metamorfosi”; sulla scia del grande Sulmonese. E, allora, eccomi qui a raccontarvi di miti, eziologie e pratiche del mondo antico… che fanno bene anche oggi.

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