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Meleagro, quando una madre uccide il figlio per vendetta

L’origine delle galline faraone, ovvero le ‘meleagridi’. La leggenda narra che quando nacque Meleagro, figlio del re di Calidone (una cittadina greca dell’Etolia), sua madre ricevette una visita dalle Moire (le divinità del destino)...

Meleagro, quando una madre uccide il figlio per vendetta

Altea deve scegliere se lasciare impunito l’omicidio dei suoi, che privava suo padre e dunque la sua famiglia d'origine di una discendenza (cosa che nell’antica Grecia era considerata di massima importanza: non era solo un disonore ma una maledizione) o se vendicare l’accaduto, dando pace ai suoi defunti e privando anche suo marito di una discendenza. Tra queste ragioni si colloca l’amore materno...

Come ebbero origine le galline faraone? Sebbene non abbiamo mai pensato a questo animale se non per le succulente ricette che si possono preparare con la sua carne, dobbiamo sapere che le origini di questo uccello galliforme sono da ricercare nel suo nome scientifico, ossia Numida meleagris, e in un mito di ira e vendetta. La leggenda narra che quando nacque Meleagro, figlio del re di Calidone (una cittadina greca dell’Etolia), sua madre ricevette una visita dalle Moire (le divinità del destino, di cui abbiamo parlato in un precedente articolo): Cloto le predisse che il figlio avrebbe goduto di coraggio e nobiltà, Lachesi che avrebbe goduto di gloria e fama imperitura, Atropo che sarebbe vissuto quanto  il tizzone che in quel momento stava ardendo nel camino. Altea allora subito spense il pezzo di legno e lo conservò in un luogo sicuro. Col tempo Meleagro crebbe forte e valoroso e tutte le predizioni si avverarono; si narra che quando la dea Artemide inviò nella regione il terribile cinghiale calidonio che faceva strage degli abitanti, Meleagro insieme ad un gruppo di eroi valorosi riuscì ad ucciderlo, coprendosi ulteriormente di gloria. Al momento di prendere come trofeo le zanne dell’animale, tuttavia, con un gesto molto cavalleresco decise di offrirle in dono all’unica donna che aveva partecipato alla spedizione, Atalanta, essendosi invaghito di lei. Tale gesto però non piacque agli zii materni del giovane che avrebbero voluto essere considerati e ottenere loro il trofeo; per tale motivo lo rubarono ad Atalanta. L’azione non fu priva di conseguenze, infatti si generò una vera e propria guerra tra i sostenitori di Meleagro e quelli degli zii. Dato che durante la battaglia il giovane uccise gli zii materni, la madre Altea, presa da un momento di ira e furore per la morte dei fratelli, recuperò il tizzone che aveva nascosto anni prima e lo getto nel fuoco, in quel preciso momento Meleagro si sentì bruciare e morì. Successivamente, la donna rinsavì e, presa dal rimorso per aver ucciso il proprio figlio per vendicare i fratelli (di una guerra che loro avevano innescato), si uccise a sua volta. Come narra Ovidio nel libro VIII delle “Metamorfosi”, in seguito a questi episodi dolorosi che sconvolsero un regno fino a poco tempo prima così felice, le altre donne della famiglia piansero così tanto che gli dèi decisero di trasformarle in ‘meleagridi’, altro nome appunto delle galline faraone. Al di là di questa eziologia, decisamente la storia è empia e sconvolgente e apre a molte riflessioni: Altea è divisa tra l’affetto per i propri cari e quello per il suo unico figlio maschio, deve scegliere se lasciare impunito l’omicidio dei suoi, che privava suo padre e dunque la sua famiglia di origine di una discendenza (cosa che nell’antica Grecia era considerata di massima importanza: non era solo un disonore ma una maledizione) o se vendicare l’accaduto, dando pace ai suoi cari, privando anche suo marito di una discendenza. Tra queste ragioni, legate alla stirpe, si colloca l’amore materno; tuttavia, sebbene dibattuta fino all’ultimo momento, Altea sceglie di onorare il padre, di onorare quella legge divina che le imponeva di vendicare la morte dei cari, anche se ciò le faceva commettere un’altra empietà: questa volta l’assassina di cui vendicarsi è lei stessa, il finale è già scritto. Cosa ne pensate: quale affetto è più importante le famiglia d’origine o quella che noi abbiamo formato?

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Alba Subrizio

Alba Subrizio

«E quel giorno che ha potere solo sul mio corpo e su null’altro, ponga pure fine, quando vorrà, alla mia vita. Con la miglior parte di me volerò eterno al di sopra degli astri e il mio nome non si potrà cancellare, fin dove arriva il potere di Roma sui popoli soggiogati, là gli uomini mi leggeranno, e per tutti i secoli vivrò della mia fama…». Così Publio Ovidio Nasone conclude il suo capolavoro “Le Metamorfosi”; sulla scia del grande Sulmonese. E, allora, eccomi qui a raccontarvi di miti, eziologie e pratiche del mondo antico… che fanno bene anche oggi.

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