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Scilla e Cariddi, chi erano i ‘guardiani’ dello Stretto di Messina

Da splendide fanciulle a divoratrici di navi. Ecco come gli antichi spiegavano la pericolosità della navigazione

Scilla e Cariddi, chi erano i ‘guardiani’ dello Stretto di Messina

Siete mai passati tra Scilla e Cariddi? Oggi è solo questione di prendere un traghetto ma un tempo le acque dell’attuale stretto di Messina erano talmente inquiete e pericolose da alimentare leggende su temibili mostri che le dominavano. Il riferimento alla pericolosità dello stretto è già presente niente poco di meno che nell’Odissea di Omero, quando nel libro XII Ulisse perde qui tanti dei suoi compagni, ‘inghiottiti’ letteralmente dalle acque. Come in ogni buon mito che si rispetti anche in questo caso le leggendarie figure un tempo erano umane, trasformate successivamente in mostruose creature marine per una hybris (“tracotanza, empietà” verso gli dèi) di cui si erano macchiate. Nella fattispecie, Cariddi era una ninfa figlia di Poseidone, il cui sbaglio fu di rubare ad Eracle (proprio lui!) i buoi del gigante Gerione; per punizione Zeus la fulminò e la gettò in mare, dove la fanciulla fu trasformata in un mostruoso pesce gigantesco (simile ad una lampreda), grande quasi quanto lo stretto stesso in cui giaceva, con fauci enormi e piene di denti aguzzi. Con la sua bocca risucchiava le acque, creando vortici in superficie in cui ‘cadevano’ le navi, per poi divorarle insieme a tutto l’equipaggio nelle profondità marine. La storia di Scilla invece è assai diversa. Unico peccato della bella fanciulla calabrese (sulla costa della regione c’è ancor oggi per l’appunto un comune che reca il nome di Scilla) era di essere troppo bella. Fu così che di lei si innamorò Glauco, figlio di Poseidone, che, rifiutato, pur di avere l’amata, si rivolse alla potente quanto crudele maga Circe. Quest’ultima, mal sopportando che il bel giovane da lei desiderato amasse un’altra, lo cacciò via e, non contenta, gettò in mare una pozione di modo che quando la ragazza si immerse per farvi il bagno, com’era sua consuetudine, subì una terribile metamorfosi: dapprima le sue gambe si trasformarono in tentacoli, poi tutto il corpo mutò, così che non rimase nulla dell’antica bellezza. Scilla era dunque un mostro con sei enormi teste di cane e denti aguzzi, pronta anch’essa a divorare i malcapitati nello stretto; collocata proprio dinanzi a Cariddi. Successivamente Scilla fu tramutata in uno scoglio, come si evince dal racconto ovidiano di “Metamorfosi” (libro XIV): «Scilla sfogò il suo odio contro Circe, strappando a Ulisse i suoi compagni. Avrebbe poi sommerso le navi dei Troiani se non fosse stata trasformata in uno scoglio, che oggi emerge aspro dalle acque e continua a far paura ai naviganti, che anche come scoglio la evitano». Cosa ne pensate? Cattivelli gli dèi antichi vero? Se vi trovate a percorrere questo stretto, fate che un pensiero sia rivolto a Scilla e Cariddi.

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Alba Subrizio

Alba Subrizio

«E quel giorno che ha potere solo sul mio corpo e su null’altro, ponga pure fine, quando vorrà, alla mia vita. Con la miglior parte di me volerò eterno al di sopra degli astri e il mio nome non si potrà cancellare, fin dove arriva il potere di Roma sui popoli soggiogati, là gli uomini mi leggeranno, e per tutti i secoli vivrò della mia fama…». Così Publio Ovidio Nasone conclude il suo capolavoro “Le Metamorfosi”; sulla scia del grande Sulmonese. E, allora, eccomi qui a raccontarvi di miti, eziologie e pratiche del mondo antico… che fanno bene anche oggi.

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