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Ronaldo e l'utero in affitto tanto caro ai Romani

Yan Thomas ha sostenuto che i romani avevano inventato una forma di “adozione prenatale”, o meglio - come suggerisce la Cantarella - «avevano inventato la maternità surrogata»

Ronaldo e l'utero in affitto tanto caro ai Romani

Livia e Ottaviano Augusto

Risale allo scorso giugno la notizia della nascita dei due gemellini che hanno reso di nuovo papà il calciatore Cristiano Ronaldo. Nulla di strano, se non fosse che i titoli riportavano la dicitura “nati da madre surrogata”. Ora, non starò qui ad indagare le ragioni per cui Ronaldo è ricorso ad un utero in affitto (conosco poco il mondo calcistico e il personaggio in questione) ma mi viene da pensare se effettivamente la pratica della ‘gestazione d'appoggio’, che tanto sta facendo discutere negli ultimi anni, sia davvero una trovata del ventunesimo secolo o se questa ‘necessità’ (se così si può chiamare) non sia invece molto più antica. Mi viene in mente la storia di Catone Uticense e di sua moglie Marzia. Dopo che Catone era da tempo sposato con Marzia e aveva avuto da lei dei figli, un suo amico, Ortensio Ortalo, dato che invece la sua di moglie era sterile, chiede a Catone di cedergli Marzia (data l’appurata fertilità della donna). Il buon Uticense accetta e Marzia viene ceduta a Ortalo, per poi risposarsi con Catone quando il secondo marito morirà. L’atteggiamento di Catone, ma anche quello di Marzia, potrebbe apparire ‘strano’ e privo di senno a un lettore moderno, ancor più se aggiungiamo a ciò – e qui sta il perno della vicenda - il fatto che la donna quando viene ‘ceduta’ era incinta del primo marito (cioè di Catone); ma questa non era una pratica di cui c’era poi tanto da meravigliarsi per un cittadino latino. Per spiegare l’episodio mi avvarrò del prezioso e interessante studio di Eva Cantarella*, che svela come nella Roma antica «ogni donna doveva sfruttare al massimo le sue potenzialità riproduttive. Sembra quasi che le donne capaci di avere figli fossero considerate una “specie protetta”, che il diritto si era incaricato di aiutare», addirittura alcuni mariti, tra le loro disposizioni testamentarie, fornivano lasciti alle loro vedove a patto che queste avessero continuato ad avere figli. Ma come? Un premio per fare figli con un altro? Sì, perché una donna in età fertile che non figliasse era concepita come uno ‘spreco’. Nell’atteggiamento di Catone, così come in quello di altri cittadini romani, l’amore c’entra ben poco, si tratta di pensare al bene dello Stato. Plutarco ricorda: «Se un marito romano aveva un numero sufficiente di figli da allevare, un altro, che non aveva figli, poteva convincerlo a lasciargli sua moglie, consegnandogliela a tutti gli effetti, o solo per una stagione», e ancora: «secondo la legge di natura è una cosa giusta e onorevole per lo Stato che una donna nel fiore della sua giovinezza e bellezza non debba né spegnere il suo potere riproduttivo rimanendo inattiva, né, generando più figli del necessario, gravare e impoverire un marito che non li vuole». Ma c’è di più: Ortensio vuole proprio la moglie di Catone non di certo per arrecargli un danno ma proprio perché lo stima più di tutti e dunque vuole ‘rinsaldare’ il vincolo di amicizia tra le loro famiglie con un vicolo quasi familiare, potendo vantare discendenti ‘comuni’; del resto non aveva fatto la stessa cosa l’imperatore Augusto, sposando Livia (già madre di Tiberio) quando era incinta del figlio Druso? Orbene, Yan Thomas ha sostenuto che i romani avevano inventato una forma di “adozione prenatale”, o meglio - come suggerisce la Cantarella - «avevano inventato la maternità surrogata». Si badi infatti che Catone non dona ad Ortalo solo sua moglie (dunque un ‘contenitore’ o una donatrice di ovuli) ma addirittura il figlio che lei portava in grembo (dunque Catone è anche donatore di gamete che dir si voglia); figlio che apparterrà di fatto ad Ortalo. Certamente le cose sono molto cambiate, grazie alle moderne scoperte scientifiche, eppure mutatis mutandis a me la maternità surrogata lascia sempre qualche perplessità…

*Matrimonio e sessualità nella Roma repubblicana: una storia romana di amore coniugale, in Storia delle Donne 1, 2005, 115-131.

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Alba Subrizio

Alba Subrizio

«E quel giorno che ha potere solo sul mio corpo e su null’altro, ponga pure fine, quando vorrà, alla mia vita. Con la miglior parte di me volerò eterno al di sopra degli astri e il mio nome non si potrà cancellare, fin dove arriva il potere di Roma sui popoli soggiogati, là gli uomini mi leggeranno, e per tutti i secoli vivrò della mia fama…». Così Publio Ovidio Nasone conclude il suo capolavoro “Le Metamorfosi”; sulla scia del grande Sulmonese. E, allora, eccomi qui a raccontarvi di miti, eziologie e pratiche del mondo antico… che fanno bene anche oggi.

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