IL MATTINO
AntichiRitorni
07.05.2017 - 01:03
P.P. Rubens, Bellerofonte uccide la Chimera
“Una donna ne sa sempre una più del diavolo” recita un noto detto. Quando una donna è rifiutata certamente può diventare crudele, almeno così insegna il mito. Chi non ricorda, infatti, l’episodio biblico (Genesi 39,6-20) di Giuseppe, figlio di Giacobbe, che, divenuto consigliere del Faraone Putifarre/Potifar, quando la sposa di costui tentò di sedurlo senza risultati, fu accusato di aver usato violenza alla regina? Ebbene, stessa sorte toccò a Bellerofonte, protagonista di una storia tanto antica quanto quella raccontata in Genesi. Questo ‘eroe’ greco è certamente noto alla letteratura per essere l’uccisore della Chimera, ma soprattutto il cavaliere di Pegaso, il bellissimo cavallo alato degli dèi. Stando ad Esiodo, Bellerofonte era figlio di Glauco, che era a sua volta figlio di Sisifo (oggetto del nostro scorso blog); il suo nome originariamente era Ipponoo (“colui che pensa ai cavalli”), chiamato poi Bellerofonte, che vuol dire “uccisore di Bellero”, per questo fu inviato a ‘purificarsi’ del delitto compiuto nella casa del sacerdote Preto. Qui però la moglie di costui, Stenebea, si invaghì del giovane e, dinanzi al suo rifiuto, lo accusò (per vendetta) di averle usato violenza al fine di possederla. Nell’antica Grecia vigeva la “legge dell’ospitalità”, ovvero l’ospite era ‘sacro’, non nel senso etico del termine che gli diamo noi, ma in senso letterale, poiché cli violava le sacre leggi dell’ospitalità veniva punito dagli dèi e maledetto con tutta la sua stirpe; motivo per cui Preto non poteva uccidere Bellerofonte in quanto suo ospite, così lo inviò da un altro re suo amico. Anche quest’ultimo però aveva ‘ospitato’ il giovane, perciò, per aggirare l’ostacolo, gli impose di uccidere la Chimera, mitico mostro ibrido tra una capra, un leone e un serpente (da cui il nostro termine “chimera” per indicare qualcosa che in natura non può esistere: un’utopia). Contrariamente alle previsioni, Bellerofonte riuscì a salvarsi grazie all’aiuto della dea Atena, che gli fece dono del cavallo alato Pegaso, e al fatto che gettò nella bocca del mostro una colata di piombo, soffocandolo. Successivamente l’eroe ebbe occasione di raccontare la verità su quanto accaduto con Stenebea, guadagnandosi l’ammirazione di tutti. Tuttavia, si dice, che la superbia per le sue imprese si impadronì dell’eroe, motivo per cui, dato che agli dèi olimpici non sono mai piaciuti quelli che si danno troppe arie e si paragonano a loro, Zeus inviò un tafano a pungere Pegaso che disarcionò Belleronte; l’uomo sopravvisse ma rimase infermo fino alla morte.
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