IL MATTINO
AntichiRitorni
26.03.2017 - 01:10
Lui abitava ad Abido, città dell'antica Misia, lei invece era di Sesto, una città del Chersoneso tracico (entrambe regioni dell'attuale Turchia); lui si chiamava Leandro ed era un giovane perdutamente innamorato, lei, Ero, una sacerdotessa di Afrodite e pertanto costretta a non potersi unire a lui; tra di loro non solo c'era un 'divieto' ma un mare, un piccolissimo lembo di mare, noto dapprima come Ellesponto, poi come stretto dei Dardanelli. Un mare - è il caso di dirlo - che per loro fu un "mare d'amore"*, perché ogni notte Leandro attraversava il tratto d'acqua che lo divideva da Ero per potersi unire a lei; ogni notte la ragazza metteva sulla finestra della torre in cui era rinchiusa (torre che si affacciava sul mare) una lanterna, affinché l'amato non perdesse l'orientamento e non andasse a sbattere contro gli scogli. In una notte di tempesta, però, il vento spense la lanterna, vero e proprio "faro" nell'oscurità, e le onde ebbero la meglio, così che lo sventurato Leandro fu 'inghiottito' dal mare. Il giorno dopo il corpo senza vita del giovane fu portato dalle acque sulla spiaggia di Sesto, dove lo ritrovò con somma disperazione Ero, che, non potendo/volendo più vivere senza l'amato, si suicidò gettandosi dalla torre. Il mito è raccontato dal poeta latino Ovidio ed è un esempio di poesia eziologica, volta a spiegare la nascita del faro. Eh già, proprio quello (!) che ci sembra un'invenzione così moderna era in realtà un'intuizione di cui siamo debitori agli antichi Greci.
*rinvio all'esauriente documentazione contenuta nel volume "Ero e Leandro: un mare d'amore" di Giovanni Cipriani et alii, Taranto 2007.
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