IL MATTINO
AntichiRitorni
12.02.2017 - 01:30
statuette votive
Siamo a febbraio e c’è aria di carnevale, una festa giocosa che esprime libertà e allegria prima di prepararsi alla ‘contrizione’ del periodo di Quaresima; ossia un ultimo ‘sfogo’ prima della penitenza, almeno per chi è cattolico. Quest'anno il mercoledì delle Ceneri cade il 1 marzo, sicché le celebrazioni del carnevale andranno dal 23 (giovedì grasso) al 28 febbraio (martedì grasso). Il nostro carnevale a ben guardare rispecchia molto da vicino i Saturnali latini, feste di baldoria all’insegna del buon cibo di cui abbiamo parlato in un precedente articolo (cfr. http://www.ilmattinodifoggia.it/blog/alba-subrizio/28924/i-saturnalia-una-volta-allanno-e-lecito-far-follie.html), mentre nell’antica Roma a febbraio, e precisamente nel periodo che andava dal 13 al 21, si celebravano delle feste particolarmente importanti, ossia i Parentalia, dedicate come si evince dal nome stesso ai genitori, nonché ai parenti. Che i Romani avessero una vera e propria venerazione per i loro antenati e la propria discendenza è fin troppo noto, ma tale devozione era palese finanche nel fatto che in ogni casa era presente un luogo, solitamente il più recondito, dove erano collocate delle statuette raffiguranti gli antenati, detti Penates. I Penati erano abitualmente chiamati anche Lari, poiché associati a vere e proprie divinità tutelari, protettrici del focolare domestico. Stando alla testimonianza di Sant’Agostino, «gli uomini divengono Lari se hanno fatto del bene, fantasmi o spettri se hanno fatto del male e sono considerati dèi Mani se è incerta la loro qualificazione» (da “La città di Dio”), ovvero le anime dei defunti della famiglia – quelli buoni – continuano a vegliare su di essa e sulla stirpe, e per tale funzione devono essere oggetto di devozione da parte della famiglia stessa. C’è di più. Oltre ai Lares familiares, che erano quelli legati al focolare domestico, c’erano i Lares compitales (che vegliavano sugli incroci delle vie e di cui parleremo in un prossimo appuntamento) e i Lares Augusti (cioè gli antenati della famiglia imperiale che dovevano essere oggetto di venerazione pubblica); inoltre a tutti i morti a febbraio era dedicata un'apposita festa (ma anche a novembre, se ricordiamo l’articolo sul Mundus Patet: http://www.ilmattinodifoggia.it/blog/alba-subrizio/28337/halloween-ognissanti-chiamatelo-mundus-patet.html), precisamente l’ultimo giorno dei Parentalia si celebravano i Feralia. Il termine deriva dal verbo latino fero, che vuol dire “portare”, per indicare che, dopo i festeggiamenti, in quel preciso giorno (il 21 febbraio) si portavano doni sulla tomba dei propri defunti: non solo fiori (usanza che si è tramandata fino a noi) ma anche cibo, grano e specialmente vino per le libagioni. L’usanza era stata portata nel Lazio da Enea, che pose sulla tomba del padre Anchise vino e viole. Se durante questo giorno i riti fossero stati elusi, allora le anime dei defunti, offese, avrebbero vagato per tutta Roma; ecco perché era importante in quel giorno non fare altra attività, se non dedicarsi alle anime trapassate.
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