Cerca

AntichiRitorni

Il primo vegetariano fu Pitagora. Proprio quello del ‘teorema’!

Dalla teoria della metempsicosi al rispetto per tutti gli esseri viventi. Stranamente morì a causa della fave

Il primo vegetariano fu Pitagora. Proprio quello del ‘teorema’!

P.P. Rubens, Pitagora sostiene il vegetarianismo, 1619

Non c’è bisogno di aver intrapreso studi umanistici per conoscerlo, dal momento che tutti i ragazzi di ogni generazione e scuola si sono cimentati con il suo ‘teorema’; stiamo parlando di Pitagora, filosofo e matematico greco vissuto tra il VI e il V sec. a.C. Se tutti, dunque, sanno come trovare il lato mancante in un triangolo rettangolo grazie a lui, pochi sono a conoscenza che proprio Pitagora è il ‘padre’ della teoria vegetariana. Alla base vi sarebbe stato il profondo rispetto che il filosofo nutriva verso tutti gli esseri viventi, secondo una testimonianza fornitaci da Diogene Laerzio («Si dice che un giorno, passando vicino a qualcuno che maltrattava un cane, colmo di compassione, pronunciò queste parole: "Smettila di colpirlo! La sua anima la sento, è quella di un amico che ho riconosciuto dal timbro della voce"»); ma a soffermarsi su quest’aspetto è il poeta latino Ovidio che fa divenire Pitagora un personaggio delle sue “Metamorfosi”. Difatti, la teoria della metempsicosi, che era alla base delle dottrine pitagoriche, si conciliava bene con quella della metamorfosi seguita da Ovidio nei suoi racconti mitici: per il quale tutto si ‘trasforma’ e continua a vivere in qualcos’altro. La metempsicosi fa il suo ingresso nel pensiero filosofico greco proprio con Pitagora  (successivamente ripresa da Empedocle e Platone) e consisteva nella credenza che l’anima (psyché) dopo la morte trasmigri in un altro corpo, assumendo nuova forma, che sia essa umana, animale o vegetale. Veniamo dunque a Ovidio. Si racconta che Pitagora si fosse trasferito dall’isola di Samo a Crotone in Magna Grecia, qui aveva fondato una scuola dove impartiva ai discepoli i suoi insegnamenti: «Smettetela, uomini, di profanare i vostri corpi con cibi empi. Ci sono le messi, ci sono alberi stracarichi di frutti, ci sono erbe dolci e tenere. Avete a disposizione il latte e il miele. La terra vi propone in abbondanza blandi cibi e vi offre banchetti senza stragi e sangue. Sono le bestie a soddisfare la loro fame con la carne. […] Eppure quell’antica età, cui abbiamo dato il nome di “aurea”, fu felice perché le nostre bocche non erano contaminate col sangue» (Met. XV). Orbene, possiamo certamente affermare che fu Pitagora il primo vegetariano della storia, sebbene – forse per contrappasso – una leggenda narra che morì a causa di un legume, per la precisione le fave. Diogene riferisce che, inseguito da un gruppo di Agrigentini che volevano ucciderlo, Pitagora si trovò dinanzi ad un campo di fave (elemento proibito ai pitagorici) e si fece catturare pur di non attraversarlo, trovando così la morte. Ma perché le fave rappresentavano un tabù per questo filosofo? Ci sono due letture: una lega questo legume al regno dei morti, ossia secondo alcune credenze popolari le fave erano il cibo delle divinità infere e dunque non potevano essere ‘toccate’; un’altra spiegazione è che nella zona di Crotone era diffuso il “favismo”, ovvero una malattia caratterizzata dal deficit di un enzima chiave che provoca anemia emolitica acuta, cioè distruzione dei globuli rossi, e che si accentua quando si ingeriscono fave. In conclusione, con tutta la stima che abbiamo per Pitagora, il consiglio è sempre quello di seguire una dieta bilanciata, dal momento che, se è vero che una dieta vegetariana o vegana è salutare per un adulto, non lo è affatto per un bambino. Per cui andiamoci cauti, facciamo le nostre scelte, ma non imponiamole a nessuno, specie ai nostri figli che, eventualmente, faranno le loro scelte una volta adulti.

Commenta scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Il Castello Edizioni e Il Mattino di Foggia

Caratteri rimanenti: 400

Alba Subrizio

Alba Subrizio

«E quel giorno che ha potere solo sul mio corpo e su null’altro, ponga pure fine, quando vorrà, alla mia vita. Con la miglior parte di me volerò eterno al di sopra degli astri e il mio nome non si potrà cancellare, fin dove arriva il potere di Roma sui popoli soggiogati, là gli uomini mi leggeranno, e per tutti i secoli vivrò della mia fama…». Così Publio Ovidio Nasone conclude il suo capolavoro “Le Metamorfosi”; sulla scia del grande Sulmonese. E, allora, eccomi qui a raccontarvi di miti, eziologie e pratiche del mondo antico… che fanno bene anche oggi.

edizione digitale

Sfoglia il giornale

Acquista l'edizione