IL MATTINO
AntichiRitorni
06.03.2016 - 01:38
Al di là del carattere osceno e fortemente comico, il passo è interessante perché testimonia come nel V sec. a.C. tali ‘prodotti’ per il trastullo delle donne erano fabbricati nella città di Mileto (che tra l’altro era la patria della poetessa Saffo), fornendoci anche un dato sulle misure ‘standard’
Qualche giorno fa dovevo preparare la lezione di greco per i miei studenti dell’ultimo anno e mi imbatto nei mimiambi di Eroda, un autore – per l’appunto di mimi – del III secolo a.C. Il mimo, si sa, è da sempre stato considerato un genere ‘letterario’ attinente alla sfera del sesso e della vita quotidiana, i cui protagonisti sono vecchie mezzane, etere, lenoni, etc. rappresentati in chiave comica. Eppure sono rimasta sorpresa nel leggere un componimento che è uno ‘spaccato’ della società del tempo: si tratta delle “Amiche a colloquio”. Di cosa mai colloquiavano queste amiche? Ebbene, oggetto della conversazione di questo breve componimento è il cosiddetto “baubon”, ossia “penis coriaceus” (fallo di cuoio) per dirlo alla latina, che le signore, all’occorrenza, qualora poco soddisfatte dai mariti o se non avevano la possibilità di averne uno, potevano comodamente acquistare dal… calzolaio. Sì, avete letto bene, proprio il calzolaio, in quanto artigiano preposto alla lavorazione delle ‘pelli’. Del resto già due secoli prima i commediografi Cratino e Aristofane facevano riferimento esplicito nelle loro commedie all’“olisbos”: altro nome per indicare il medesimo oggetto. In particolar modo, nella commedia aristofanea intitolata “Lisistrata” – nella quale si immagina che tutte le donne di Grecia, per persuadere i loro uomini a porre fine alla guerra, promuovano uno sciopero sessuale, fino a quando gli uomini ‘sfiniti’ dall’astinenza forzata finiranno per cedere – c’è un riferimento esplicito alla pratica di ‘acquistare’ questi particolari ‘oggetti’, tant’è che leggiamo: «E neppure ci resta uno straccetto d'amante! E poi, da quando ci han traditi i Milesi, neppure ho più veduto quel trastullo di cuoio d'otto dita, che ci dava ristoro. Ora, vorreste, se io trovassi qualche stratagemma, porre, insieme con me, fine alla guerra?». Al di là del carattere osceno e fortemente comico, il passo è interessante perché testimonia come nel V sec. a.C. tali ‘prodotti’ per il trastullo delle donne erano fabbricati nella città di Mileto (che tra l’altro era la patria della poetessa Saffo), fornendoci anche un dato sulle misure ‘standard’, ovvero “otto dita” (all’incirca 20 cm). Ciò che stupisce è che mentre nella perbene società attuale tali argomenti sono taboo, nell’antica Grecia, sebbene ci fosse la percezione che si trattasse di materia scabrosa, tuttavia c’erano meno riserve a parlarne e a ‘portare in scena’ simboli fallici; del resto non dimentichiamo che i temi fondanti della commedia greca erano la satira politica, l’attacco personale, l’evasione, l’utopia, il cibo e soprattutto il sesso. Elemento quest’ultimo presente ‘sulla scena’ non solo nei contenuti ma anche ‘visibilmente’, poiché il costume dell’attore comico consisteva in una calzamaglia imbottita, con protuberanze sul sedere e sulla pancia, e un chitone (una veste) corto, dal quale si intravedeva un finto fallo. Orbene, la fabbricazione dell’olisbo è quanto meno attestata (sia per ragioni sceniche, sia per piacere personale) almeno a partire dalla Grecia del V sec. a.C.; cosa ne pensate dei nostri antenati: troppo avanti o troppo libertini?
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