IL MATTINO
AntichiRitorni
07.02.2016 - 00:50
Incisione di G. Doré per il canto XII del Purgatorio
Fu così che Aracne fu trasformata in un ragno, ‘condannata’ a tessere per sempre la ‘sua’ tela, penzolando non dal cappio bensì dalle ragnatele.
Nella vita, si sa, se si vuole ottenere qualcosa bisogna darsi da fare: “aiutati che Dio t’aiuta” recita un famoso detto, per i cristiani tanto quanto per i nostri antenati greci e latini; tuttavia non sempre il dio, o la dea, di turno “ti aiutano”, anzi, troppa bravura talvolta può generare invidia. È il caso della giovane Aracne, originaria di Colofone in Lidia. Il mito racconta che, nonostante fosse di umilissime origini, la fanciulla era talmente brava nell’arte della tessitura che accorrevano genti da tutta la Lidia e oltre per i suoi lavori; talmente brava, però, da inorgoglirsi oltre misura, al punto da sfidare la stessa Atena, che nell’immaginario dei Greci era non solo la dea della guerra e della sapienza, ma anche della tessitura. Orbene, dopo aver saputo della ‘sfida’ che la giovane mortale le aveva lanciato, la dea si travestì da vecchina e si recò a Colofone; qui cercò di far desistere Aracne dal proposito di competere con una divinità, persuadendola a implorare immediatamente il perdono divino, ma la ragazza persisteva nel suo proposito: era convinta di essere più brava di Atena. Fu così che la dea, manifestatasi, decise di accettare la gara. Atena effigia sulla tela la città di Cecrope e la disfida tra gli dèi sul nome da darle, poi – per fare intuire alla giovane quale destino la attendeva – tesse ai quattro lati quattro esempi di ‘empietà’ da lei puniti. La bella Aracne, invece, effigia tutti gli amori furtivi degli dèi con donne mortali: tutti i personaggi e le scene rappresentate erano perfetti, «Tutto intorno alla tela corre un fine bordo, con fiori intrecciati a rami d’edera flessuosi. Neppure Pallade Atena, neppure la Gelosia in persona potevano trovare qualcosa da criticare in quell’opera» (commentava il poeta latino Ovidio); ma proprio per ciò la dea, non potendo sopportare la disfatta, fece a brandelli la tela dell’avversaria e la percosse più volte. Aracne, non tollerando l’umiliazione, cercò di impiccarsi, tuttavia nel momento in cui pose il collo nel cappio Atena la ‘trasformò’: «“Vivi pure, ma penzola”. Detto questo i capelli scivolarono via, e con essi il naso e le orecchie, e la testa diventa piccolissima, e tutto il corpo d’altronde s’impicciolisce. Ai fianchi rimangono attaccate esili dita che fanno da zampe. Tutto il resto è pancia: ma da questa, Aracne riemette del filo e torna a rifare le tele come una volta». Fu così che Aracne fu trasformata in un ragno, ‘condannata’ a tessere per sempre la ‘sua’ tela, penzolando non dal cappio bensì dalle ragnatele. Difatti il termine ‘ragno’ deriva dal latino “a-raneus”, che a sua volta ha origine dal vocabolo greco ἀράχνη (arachne = ragno); nell’italiano attuale il nome di questa mitica giovane si conserva nell’aggettivo “aracneo” o in alcuni composti come “aracnofobia”, “aracnidismo”. E voi, di cosa avete più paura: dei ragni o delle divinità invidiose?
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