IL MATTINO
I pensieri dell'Altrove
23.06.2013 - 09:38
A me l'estate non piace. E non è mai piaciuta. Neanche quando andavo a scuola, quando parcheggiavo per tre e passa mesi i libri nella libreria, la cinghietta elastica, verde smeraldo, che li teneva raccolti nel cassetto della scrivania, e guardavo con soddisfazione un po' perversa l'abbonamento per il pullman perché lo potevo, volendo, anche strappare in mille stracciatissimi pezzettini. Non mi piace l'estate, ci costringe a guardarci con gli occhi di traverso, perché il sole te lo trovi giusto in mezzo alla fronte, ogni volta che incontri qualcuno. Oppure ci parliamo schermati da quelli che sono ormai diventati i nostri occhi di ricambio, cioè scurissimi occhiali da sole. Che riparano, proteggono, ma che ti impediscono di guardare, oltre alla loro forma, lo stile e la griffe, la vera espressione delle parole, che secondo me risiede e collabora con gli occhi. Non mi piace l'estate, al di sotto dei trenta gradi c'è ancora la spinta sincera ad abbracciare qualcuno, sopra i trentuno ritieni vada bene anche solo una vigorosa stretta di mano. Più su, sui trentaquattro, meno incontri gente e più sollevato ti senti. Il caldo allontana, dilata, centralizza le folle sotto un condizionatore, fa fare dolorose prove costume nei camerini puzzolenti di sudore altrui e non sai se devi più disperarti perché ti trovi e ti vedi 'diversa' rispetto allo scorso anno, oppure perché c'è una intolleranza esasperata fra te e la commessa che ti passa velocemente la merce mentre tu sudi, e ti si appiccica tutto, e ti si attacca la plastica dell'etichetta, e ti viene voglia di strapparti la spallina e tutte le conchiglie disegnate con tutte le perline… In estate siamo tutti assoggettati al sole, condizionati e vittime della abbronzatura, della dieta, delle gambe perfette, delle ascelle perfette. A chi non è opportunamente abbronzato, anche fintamente, cioè con le cremine magiche che colorano, viene quasi spontaneo chiedergli se per caso non si senta bene. Il naturale pallore, in una folla omogeneizzata sul marrone, può risultare il sintomo di una febbre o di un malore che sta per arrivare. Eppoi, in estate, siamo tutti un po' più incazzati o, volendo fare l'elegante, siamo tutti più irritati. Se al mattino trovi già sullo zerbino uno schiaffo di afa che ti assale, se verso mezzogiorno ti senti svenire, se intorno alle diciotto hai fatto già la terza doccia senza trovare pace con la tua pelle, allora dimmi come puoi testimoniare al mondo la tua felicità o la tua serena pacatezza. La sera arrivano le zanzare, e oltre al romanticismo del cielo stellato, dei livelli poetici elevati che a taluni ispira il mare, a me resta una spossatezza infinita, appesantita dalla consapevolezza della consecutio del disagio notturno. Il caldo cambia i comportamenti sociali, tutti nei centri commerciali dove si pratica scelleratamente la crioterapia (fuori trentasei gradi, dentro meno diciotto), tutti con la salutare bottiglina d'acqua, il gelatino d'ordinanza, gli infradito, le sofisticate (si fa per dire) canotte ascellari che hanno tanto il campestre ricordo delle mietiture in terra di Puglia. Il trucco delle signore sul viso diventa iridescente, i bambini sono conduttori naturali di elettricità, le auto sfortunatamente sistemate al sole sono forni crematori, e quando ti va bene e trovi parcheggio sotto un albero ti riporti a casa l'auto ma anche l'intero albero svuotato di escrementi di volatili. A me non piace, l'estate, ma so che per molti è stagione di incontri, di feste, di ubriacature di umanità, di sana esposizione dei corpi, di amori nuovi e di sospensione da alcune incombenze che ci abitano dentro per tutto il resto dell'anno. Va bene così, io aspetterò la sera, aspetterò gli amici, guarderò le scie degli aerei notturni e la via lattea. Starò attenta a non mangiare e mi consegnerò ancora una volta al sentimento collettivo che dice che fare chiasso, scomporsi, è la felicità proletaria ed estivamente democratica.
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