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I pensieri dell'altrove

In compagnia della mia giornata

Io e la mia giornata ci conosciamo bene, siamo la schiena, il fegato, lo stomaco una dell'altra. Ma noi ci divertiamo, giochiamo a nascondino e se cantiamo diventiamo un coro.

In compagnia della mia giornata

Opera della pittrice Erica Hopper

Oggi io e la mia giornata eravamo sole. Ci toccavamo il polso per sentire i colpi, ci guardavamo le facce, scansavamo le mancanze, ci coprivamo la gola perché è arrivato il freddo. L'anima era grigia come la nebbia del mattino presto, ma se la toccavi era calda e morbida come la cenere della sera. Le ore ci sono sembrate come una porta stanca di sé stessa, i minuti li abbiamo spiati con un'ansia scomposta, uguale a quella che avevamo a scuola quando si tentava di copiare un compito, insieme a quell'attenzione maldestra per non farsi scoprire. Siamo uscite, io e la mia giornata, con la dichiarazione silenziosa di non cercare consensi ma di rimanere ferme nelle periferie dei contatti, senza conquistare la luce ma conservare l'opacità ordinaria, quella praticata con l'orgoglio della diversità normale e con la consuetudine alla rinuncia. Ci hanno riconosciuto i cani, con le zampe umide di autunno e il pelo sporco di abbandono, ci venivano dietro per fare numero e per fare gruppo. Ci sono casi in cui le solitudini tentano di aggregarsi senza troppi pudori, si sgretola il rigore, si aboliscono le diversità, perché resta integro solo il patto di una sopravvivenza necessaria e condivisa. Un incontro con la lontananza, un altro con le conseguenze, uno più giù con le smentite confermate e poi tutti al bar per un momento di euforia dopata perché dichiaratamente innaturale, francamente eccessiva, ma soprattutto fuori stagione. Ai lati della strada il parcheggio del solito vuoto, senza ticket, e forse per questo sempre pieno. Nell'aria i disegni delle idee piene di energie, finché restano solo idee, poi diventano fatti con il permesso di soggiorno un po' stropicciato e un po' deluso. Io e la mia giornata ci conosciamo bene, siamo la schiena, il fegato, lo stomaco una dell'altra. Ma noi ci divertiamo, giochiamo a nascondino e se cantiamo diventiamo un coro. Noi siamo capienti, raccogliamo i ritardi, le foglie, le dimenticanze, le indifferenze. Così capienti che ospitiamo le stagioni e custodiamo i segreti che ci porta il vento, la neve, il tempo. È la capienza dell'accudimento e delle vicende, delle insonnie e dei buchi neri, degli spazi alti del cielo e del fiato della vita. Quando arriva la sera io e la mia giornata non ci lasciamo. Ci sono volte in cui l'insieme partorisce l'uno, o una salda unicità composta. Noi di sera ci assorbiamo, poi ci accostiamo ai margini e insieme scendiamo, disarmate,verso gli scantinati della notte. 

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Mariantonietta Ippolito

Mariantonietta Ippolito

Il pensiero è la forma più inviolabile e libera che un individuo possa avere. Il pensiero è espressione di verità, di crudezza, di amore. Quando il pensiero diventa parola il rischio della contaminazione della sua autenticità è alto. La scrittura, invece, lo assottiglia, ma non lo violenta. Io amo la scrittura, quella asciutta, un po’ spigolosa, quella che va per sottrazioni e non per addizioni. Quella che mi rappresenta e mi assomiglia, quella che proverò a proporre qui. Dal mondo di “Kabul” al vasto mondo dei pensieri dell’”altrove”.

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