IL MATTINO
I pensieri dell'Altrove
09.06.2013 - 09:59
È noto che nessuno di noi abbia deciso di nascere e, se escludiamo alcune scelte personali tragiche, nessuno conosce il come e quando dovrà morire. Quando è nato mio figlio era di pomeriggio, pioveva, ero giovane ed ero, dopo tredici ore di dolori indimenticabili, veramente stremata; eppure, nello stesso momento in cui mio figlio ha visto la luce (dei neon della sala parto), io, anche io, o una intimissima parte di me è un po' rinata con lui. Non so davvero spiegare come in quel momento accada che nel partorire un figlio, l'esperienza straordinaria della nascita raccolga e riprenda la registrazione inconscia della tua. Dare la vita e ricordarsi della tua è un tutt'uno non trasferibile alla razionalità, piuttosto riconduce questo viaggio in un ambito misterioso e affascinante che odora di pelle mischiata, di cellule che conoscono da sempre il loro cammino, di umori e di sangue che ha la caratteristica di essere altamente coagulante, sine die. E spontaneamente affiorano sentimenti di appartenenza, di custodia, di protezione. In un attimo, in pochi attimi, si riproduce l'eternità. Disegno perfetto e circolare, la suggestiva idea che sei nel mondo e allunghi il tuo futuro, immaginando la tua 'nuova vita' piena di una forza nuova e piena di energia propulsiva. Le età sono in transizione continua, ma in quel momento è come suggellare un patto di instancabile alleanza con la vita e con l'istinto di conservazione e sopravvivenza. La specificità di quel momento non è condivisibile con nessuno, neppure con il più amorevole e attento dei compagni, devi fare tutto tu, e la medicina aiuta fino ad un certo punto. La fatica è tua, il disagio pure, e fino a quando non senti quella vocina che strilla e che riconosci come quella di 'tuo figlio', sai che non ti puoi ricomporre. A me, dire 'mio figlio' i primi tempi mi incuteva timore, mi sentivo vagamente inadeguata, mi sentivo impreparata come prima di una interrogazione fondamentale per la mia promozione. In un secondo momento, molto secondo, le due parole mi hanno dato forza e potere. Fare i genitori non è un apprendimento istantaneo, è esercizio d'amore, di buon senso, di comprensione e di condivisione, di pedagogia non didascalica, ma pratica, che si applica tutti i giorni. E tutte le notti. Ma fare la mamma è entrare in empatia, è passare la vita ad osservare, a percepire, ad annusare, spesso è anche pensare uguale e parlare uguale. La biologia è scienza, le emotività profonde e viscerali, quelle no. Hai voglia a dire che i genitori hanno valenze simili, la verità è che noi madri sappiamo di avere una speciale percezione in più, perché prima della parola, prima del dolore e dell'attesa, prima della conoscenza, c'è stata la carne. Quella fatta di movimenti impercettibili, di trasferimenti di sensazioni, di suoni e sogni condivisi e assorbiti insieme. Più tardi, sentiremo manine e piedini che esplorano la nostra pancia, e solo se lo vogliamo potremmo regalare questa esperienza ( ma solo tattile) al nostro compagno, perché altrimenti il piacere o la sorpresa restano solo nostre. Quella carne fatta di mal di stomaco o mal di pancia, che si mischia e si nutre dalla tua, separata solo da una prodigiosa bolla d'acqua, che quando poi non c'è più, ne senti tenera nostalgia. Dico che la nascita è rinnovo di energia e nutrimento per il mondo, dico che a volte soffermarsi sull'idea che ogni faccia che vediamo, ogni individuo che incontriamo, hanno soggiornato, attraversato parte del nostro corpo e si sono letteralmente formati dentro di noi, dovrebbe apportarci una dose enorme e salutare di autostima, benevolenza e considerazione. E come il vento che porta nell'aria pollini e stagioni nuove, dovrebbe contagiare come un’epidemia d'amore e di solidarietà tutto il genere femminile. Tutto. Perché in un attimo, in quell'attimo, c'è l'Eternità.
Dedicato a mia madre, a me, a mia nuora, a mia nipote. E a tutte le mie amiche, che siano mamme e non.
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