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I pensieri dell'Altrove

La morte che si sigilla con l'indifferenza dei vivi

L'incredibile vicissitudine di Maria Carmela, l'insegnante tumulata da due anni in casa dai suoi vicini alla periferia di Roma

La morte che si sigilla con l'indifferenza dei vivi

La Morte si sigilla. Si chiude ermeticamente, in maniera tecnica e precisa. Non le si può dare aria, non gliene serve, occorre il silenzio,  la sospensione della luce ed il ricordo di un'ultima immagine. Questa è la sua destinazione, in una apnea che diventa un elemento temporale lungo e sconosciuto. La Morte si sigilla. Come una porta di un condominio, per non ammorbare l'aria di quel tanfo insopportabile che non si vuole 'vedere' oltre che sentire. Due anni di puzza e di nastro adesivo, quello buono per imballare le scatole, due anni di sepoltura scomposta, distesa malamente in cucina, con un fornello acceso al posto di una lampada votiva o di un lumino, con i surgelati nella padella al posto dei fiori e la solitudine che è propria dei morti, ma anche di molti vivi più morti dei morti. Maria Carmela ha lasciato il mondo senza salutare nessuno e non c'è stato nessuno che le abbia dato un ultimo sguardo di misericordia, di compassione. Nessuno si è accorto in quel condominio che quella porta impregnata di fetore non andava frettolosamente  dimenticata con un adesivo largo che più copriva e più accusava, ma forse andava aperta, buttata giù, scardinata. Maria Carmela, insegnante in pensione di Siracusa, deceduta nella città di Roma, certamente non sarebbe risorta, ma avrebbe avuto un margine di dignità maggiore prima che la cattiveria del tempo la deturpasse, prima di diventare una cosa decomposta, prima di diventare solo puzza. Ci sono punti della nostra esistenza in cui ci coniughiamo con l'invisibile, fino a diventare un tutt'uno con il niente. E più nessuno ci vede, o ci vuole vedere, non ci si cerca, non è più presente la partecipazione, ed è come se inaspettatamente si esaurisse ogni forma di bene. Così, in questa storia triste e modernamente violenta, quello che mi viene da dire è che può accadere che per alcuni di noi alla fine non resti un granché, né un viso, una conoscenza, un saluto ai vicini di casa, né una parola che restituisca un ricordo, tanto meno l'idea che siamo stati vivi. Magari un po' defilati, tristi, riservati fino all'antipatia, ma vivi che hanno camminato fra i vivi. Che hanno steso lenzuola affacciati ad un balcone, che hanno salito scale con le buste del pane, che hanno preso un ascensore chiedendosi a che piano si saliva, che sul pianerottolo a qualcuno sia scappato un formale buongiorno. No, di alcuni non resta nulla, forse solo un corpo accasciato di fronte ad un fornello, ad una pentola, sotterrati dalla colpa innocente di una solitudine estrema. E poi una puzza, quella insopportabile  puzza di una morte sigillata male.

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Mariantonietta Ippolito

Mariantonietta Ippolito

Il pensiero è la forma più inviolabile e libera che un individuo possa avere. Il pensiero è espressione di verità, di crudezza, di amore. Quando il pensiero diventa parola il rischio della contaminazione della sua autenticità è alto. La scrittura, invece, lo assottiglia, ma non lo violenta. Io amo la scrittura, quella asciutta, un po’ spigolosa, quella che va per sottrazioni e non per addizioni. Quella che mi rappresenta e mi assomiglia, quella che proverò a proporre qui. Dal mondo di “Kabul” al vasto mondo dei pensieri dell’”altrove”.

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