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I pensieri dell'Altrove

Quel sentirsi umanamente "articolo fragile"

Quel sentirsi umanamente "articolo fragile"

Quelle giornate fortunate e lunghe in cui ti si attacca, come colla umida, l'idea che ti senti come un articolo fragile. Uguale a quei bicchieri alti ed eleganti disposti molto ordinatamente sugli scaffali dei negozi, che se ti viene voglia di prenderne uno in seconda fila hai la percezione precisa che il braccio ne trascinerà altri quattro appresso e tu non potrai farci proprio niente. Ecco, quella fragilità sottile e trasparente, nuda, che si vede e che comunque non te ne frega niente di vestirla. Quella scarsa lucidità che ti fa essere sottomessa alla tristezza, all'autocritica, alla inefficienza, all'imprecisione. Io quelle giornate le conosco. Mi attraversano come delle vicende inevitabili, io ne conosco i tratti, ma non l'intensità della permanenza né la densità del pericolo che avverti imminente. Sono quelle situazioni in cui ogni punto nuovo del giorno può nascondere una caduta, ogni parola un'indiscrezione sgradevole, ogni stupida osservazione un'indagine poco prudente a danno della nostra coscienza. C'è una dissolvenza della concretezza, la consistenza emotiva si riempie di ansia, si stabilisce un ricatto fra la certezza dell'inadeguatezza e la difesa inascoltata dell'autostima rimasta. Basterebbe qualche bella notizia, una fetta di quella torta che ci piace tanto, una sorpresa, un contatto protettivo, il caldo delle mani, una voce. Basterebbe sollevare quel peso dal petto e riporlo, come se fosse bicchiere, su quello scaffale e metterlo di fianco ad altri bicchieri, meglio se in seconda fila. Poi, consapevolmente maldestri, mentre ritiriamo la mano ne facciamo volontariamente cadere più di qualcuno. La fragilità andrà in cento pezzi minuscoli e trasparenti, sparpagliati e sconosciuti fra loro, deformati e calpestati. Peggio ancora se avidamente aspirati da un potente aspirapolvere. Certo che, vista dall'alto, la fragilità così sconsolata e disgregata, così orfana di contagiosa debolezza, nella sua frammentazione irreversibile fa quasi tenerezza. Allora proviamo ad ammucchiare i pezzi, con benevolenza. Ricomponiamo lo scaffale. Modifichiamo lo status da 'articolo' fragile a 'essere umano', quindi, se possibile, ancora e ancora più esposto, quotidianamente e ripetutamente vulnerabile. E quasi tutto torna. Quei bicchieri forse no.

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Mariantonietta Ippolito

Mariantonietta Ippolito

Il pensiero è la forma più inviolabile e libera che un individuo possa avere. Il pensiero è espressione di verità, di crudezza, di amore. Quando il pensiero diventa parola il rischio della contaminazione della sua autenticità è alto. La scrittura, invece, lo assottiglia, ma non lo violenta. Io amo la scrittura, quella asciutta, un po’ spigolosa, quella che va per sottrazioni e non per addizioni. Quella che mi rappresenta e mi assomiglia, quella che proverò a proporre qui. Dal mondo di “Kabul” al vasto mondo dei pensieri dell’”altrove”.

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