IL MATTINO
AntichiRitorni
09.08.2015 - 00:44
Scena di matrimonio con 'dextrarum iunctio'
"Velare" la sposa era talmente importante nel matrimonio romano che lo stesso verbo che indicava lo sposarsi per la donna, ossia “nubo”, significava letteralmente “velarsi” (da nubes = nuvola, ma anche velo); il velo in questione era denominato ‘flammeum’ dal colore ‘di fuoco’ (andava dal giallo all’arancione, al rosso), ben diverso da quello cristiano rigorosamente bianco
Sin dall’antichità il velo ha segnato il ‘discrimen’ tra uno spazio profano e uno spazio sacro, tra il puro e l’impuro, cosicché chiunque intraprendesse un rito sacro doveva avere necessariamente il capo coperto da un velo. Ciò valeva tanto per i sacerdoti e le sacerdotesse quanto per i comuni cittadini che prendessero parte ad una cerimonia sacra; si pensi al generale Publio Decio Mure che decise di offrire la sua vita agli dèi in cambio della vittoria del suo esercito (tale pratica era chiamata ‘devotio’) ma che, prima di farlo, dovette coprirsi il capo con un velo mentre recitava preghiere alle divinità dell’Oltretomba, questo per delimitare uno spazio sacro. Oggi il velo in molti Paesi dell’area mediterranea e del Medio Oriente ha assunto una valenza diversa, sebbene non lontana, da quella che rivestiva all’interno del cerimoniale religioso romano; tuttavia, ora come allora, si conserva quasi ovunque (anche se con cerimonie diverse) l’abitudine di ‘velare’ la sposa durante la celebrazione del matrimonio. Tale pratica era talmente importante nel matrimonio romano che lo stesso verbo che indicava lo sposarsi per la donna, ossia “nubo”, significava letteralmente “velarsi” (da nubes = nuvola, ma anche velo); il velo in questione era denominato ‘flammeum’ dal colore ‘di fuoco’ (andava dal giallo all’arancione, al rosso), ben diverso da quello cristiano rigorosamente bianco, dal momento che il cristianesimo ha sì ereditato tale pratica, tuttavia cambiandone la simbologia. Per i romani il velo non era tanto un simbolo di purezza verginale quanto l’emblema di una condizione di ‘passaggio’; difatti cos’è il matrimonio se non un ‘rito di passaggio’? La presenza del ‘flammeum’ nell'abbigliamento tradizionale della sposa romana deve la sua origine alla Flaminica Dialis, cioè la moglie del Flamen Dialis, che era il sacerdote di Giove. La Flaminica, infatti, indossava un abito e un velo color fiamma permanentemente, in virtù del fatto che il legame matrimoniale non poteva essere sciolto se non con la morte, ovvero al Flamen e alla Flaminica non era consentito divorziare; dunque, in tal senso, il ‘flammeum’ poteva anche essere segno di buon auspicio per i novelli sposi. Il velo poi figuarva in un’altra fase della cerimonia nuziale romana, ossia la ‘dextrarum iunctio’ (consisteva nel tenersi la mano destra da parte degli sposi), durante la quale le destre venivano velate, in virtù della sacralità che l’oggetto velato acquisiva, divenendo in quel momento ‘signum’ della Buona Fede (che secondo i Romani ‘risiedeva’ nella mano destra, quella con cui si fanno i giuramenti). Detto ciò, il mio modesto consiglio alle future spose è di non farsi troppe remore a mettere il velo (anche se non si è più ‘fanciulle’ nel senso ‘tecnico’ del termine), non foss’altro per osservanza alla tradizione romana…
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