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I matrimoni gay? Esistevano dai tempi di Nerone

Svetonio e Dione Cassio nelle loro opere asseriscono che l’imperatore Nerone (assai noto alla Storia per le sue stravaganze) abbia celebrato ben due matrimoni pubblici con degli uomini

I matrimoni gay? Esistevano dai tempi di Nerone

Kylix attica del V sec. a.C.

«L’anima non è dunque che l’espressione suprema del corpo, fragile manifestazione della pena e del piacere di vivere? O, al contrario, è più antica di questo corpo modellato a sua immagine, e che, bene o male, le serve momentaneamente di strumento?» si chiede l’imperatore Adriano in quello straordinario capolavoro che è il romanzo di Marguerite Yourcenar. La scrittrice francese, con “Memorie di Adriano”, ha reso sicuramente celebre la relazione omoerotica tra l’imperatore estimatore della cultura greca e il suo giovane amante Antinoo, aprendo la strada ad una più approfondita conoscenza di quelli che erano i rapporti omosessuali nell’antica Roma. Sebbene la Lex Scantinia (149 a.C.) punisse severamente i rapporti omoerotici tra un uomo e un giovinetto, annoverati tra i reati di ‘stuprum’, nonché i rapporti tra due uomini liberi, tuttavia a Roma non era punita l’omosessualità in sé, bensì si riteneva ‘scandalosa’, poiché non si addiceva ad un cittadino romano, la funzione di “catamita” (soggetto passivo). Dunque, secondo la società romana, per cui il cittadino libero era “vir” e doveva possedere tra le sue virtù la ‘virilità’, non era affatto un problema che un uomo avesse rapporti di natura sessuale sia con donne che con uomini, purché questi non fossero cittadini romani liberi e, soprattutto, purché non fosse mai il romano a fare ‘la parte della femmina’, in tal caso sarebbe stato giudicato un “semi-vir” e dunque indegno. Non è un caso che gli avversari di Cesare, per mettere in cattiva luce la sua fama di ‘dominatore’, erano soliti ricordare – con un certo sarcasmo – la sua relazione omoerotica avuta in gioventù con l'ultimo sovrano del regno di Bitinia, Nicomede IV: «Cesare ha sottomesso le Gallie, ma Nicomede ha messo sotto lui» (si legge nella “Vita” scritta da Svetonio); d’altra parte quasi tutti gli imperatori romani pare godessero delle grazie di un “puer delicatus” al loro servizio (solitamente uno schiavo o un liberto, in virtù di quanto spiegato sopra). Ma ciò che sorprende è che ci sono notizie di matrimoni tra uomini: i poeti Marziale e Giovenale riferiscono che era sovente la celebrazione di riti matrimoniali tra due uomini, anche se il diritto romano non li ha mai esplicitamente riconosciuti. Tuttavia Svetonio e Dione Cassio nelle loro opere asseriscono che l’imperatore Nerone (assai noto alla Storia per le sue stravaganze) abbia celebrato ben due matrimoni pubblici con degli uomini; una volta assumendo per sé il ruolo della moglie, un'altra volta invece (mentre era sposato con Statilia Messalina) prendendo il ruolo del marito con il liberto eunuco Sporo. Orbene, agli antichi romani sembra sconosciuto il concetto di omosessualità come viene inteso ai nostri giorni; si pensi al poeta Catullo che langue d’amore per la bella Lesbia ma soffre anche per il giovinetto Giovenzio (e non si vergogna di dirlo), così come Tibullo si strugge per Delia quanto per Marato. Nell’antica Grecia, invece, l’amore omoerotico, era inteso come una vera e propria ‘iniziazione’, nonché ‘formazione’ del giovane; anche qui dunque una relazione tra un uomo e un giovinetto (mai tra due adulti, tale pratica sarebbe stata giudicata illecita). Tuttavia nell’antica Grecia tale relazione, riconosciuta dalla società, non doveva essere puramente a scopo sessuale ma - come si è detto – l’amante (erastés) assumeva anche il compito di ‘precettore’, ossia di istruire il ragazzo (eròmenos), di condurlo in società, di insegnargli a diventare uomo: si pensi a Socrate e Alcibiade, solo per fare un esempio. Chiaramente diversa, e forse più romanzata, era la relazione tra Adriano e Antinoo, con cui abbiamo aperto l’articolo; alla morte dell’‘amasius’ l’imperatore addolorato tributò a lui un culto che si diffuse in tutto l’impero. Poi arrivò il cristianesimo… e tutto fu peccato.

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Alba Subrizio

Alba Subrizio

«E quel giorno che ha potere solo sul mio corpo e su null’altro, ponga pure fine, quando vorrà, alla mia vita. Con la miglior parte di me volerò eterno al di sopra degli astri e il mio nome non si potrà cancellare, fin dove arriva il potere di Roma sui popoli soggiogati, là gli uomini mi leggeranno, e per tutti i secoli vivrò della mia fama…». Così Publio Ovidio Nasone conclude il suo capolavoro “Le Metamorfosi”; sulla scia del grande Sulmonese. E, allora, eccomi qui a raccontarvi di miti, eziologie e pratiche del mondo antico… che fanno bene anche oggi.

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