IL MATTINO
23.05.2013 - 19:45
Arturo Zammarano
Dopo l’attentato subito, agli amici che gli sono maggiormente vicini Arturo Zammarano ha confessato il desiderio di sradicare ogni passione dalla città in cui vive. Come dargli torto? Come dar torto ad un uomo che ha scelto di destinare molte delle sue risorse economiche per fare bello lo sport foggiano pulito (quello della pallavolo che, con la sua “SportLab”, ha da sei anni sostenuto accompagnandola alla recente promozione in serie B2) ricevendo in cambio sei proiettili, mentre se ne stava in auto con l’amico di famiglia Paolo Bianco, dirigente dei Vigli del Fuoco, in attesa di un altro amico, l’avvocato Dragonetti, per trascorrere una serata tranquilla? Cosa avrà mai commesso Arturo Zammarano, il più defilato della famiglia dei noti costruttori foggiani, per meritarsi l’avvertimento omicida di un commando spregiudicato di delinquenti? Qualsiasi irragionevole ragione abbia fatto esplodere quei proiettili, è risuonata nelle ombre cupe di San Pio X come il rantolo di una città in agonia, in cui lentamente muore la voglia di mettersi in gioco, di investire sul futuro, di cambiare il volto sfregiato che ci circonda per renderlo migliore agli occhi dei nostri figli. Se anche quei pochi capitani coraggiosi, come Arturo Zammarano, vengono scoraggiati a suon di proiettili dal far qualcosa di buono, che ne sarà di questa città? Se chi ha realizzato opportunità di benessere ed è costretto a nasconderle alle mire rapaci della criminalità famelica, come saranno alimentate le iniziative sociali, culturali, sportive, che Foggia abbisogna per crescere? Un motivo ci sarà se, rispetto alla munificenza imprenditoriale del passato, oggi nessuno è disposto a tirar fuori un euro per finanziare una squadra di calcio, un’iniziativa sociale, un’intrapresa culturale. Me lo spiega, con la singolare immediatezza linguistica che gli fa pregio, il mio giovane edicolante, osservatorio esclusivo della poliedrica transumanza umana che quotidianamente se la mena: «Oramai, le persone che non hanno i soldi non spendono; chi c’ha qualcosa deve pensare a campare; chi i soldi, invece, ce li ha qui non li spende per non darlo a vedere. Conclusione: Foggia è una città completamente ferma, non si muove più una mazza». Una città agonizzante, appunto, per la quale il sibilo di proiettili, il frastuono delle rapine, il Tagadà sulla giostra delle buche stradali, i boia in doppiopetto assisi al governo della fiscalità e delle finanze locali, l’irriverenza civica, concorrono con l’ignavia politica e dirigenziale a soffocare ogni slancio di vita.
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