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Indovina, indovinello... la Sfinge

Indovina, indovinello... la Sfinge

Siamo abituati a considerarla uno dei simboli canonici della cultura egiziana, presente su cartoline, monete, francobolli e finanche documenti, stiamo parlando della Sfinge. Raffigurata come un essere ibrido (un corpo leonino con testa umana), la Sfinge assumeva nell’antico Egitto la funzione di custode di templi e tombe, in particolar modo, a tal riguardo, si può pensare a quella collocata vicino la famosissima piramide di Giza; ma ben altra era la sua funzione nella cultura e nel mito greco. Conosciuta sin da Esiodo (uno tra i più antichi poeti greci), la Sfinge torna spesso nei racconti di tragediografi, logografi e mitografi del mondo antico, come simbolo di morte e distruzione; una divinità ctonia forse più antica della stessa religione olimpica, ossia risalente ad un’epoca in cui quest’ultima non si era ancora affermata. Probabilmente l’associazione negativa doveva derivare dall’etimologia di Sphinx, in greco derivante dal verbo “sphingo” (strangolare), e dunque “la strangolatrice”. Si racconta, infatti, che la Sfinge si trovasse alle porte della città di Tebe e sottoponeva ai malcapitati che incappavano da quelli parti un indovinello; se si rispondeva correttamente era lecito proseguire il cammino, diversamente lo sventurato veniva strangolato e divorato. A collocare l’essere mostruoso ai piedi del monte Citerone, si racconta fu la ‘regina degli dèi, Era, adirata perché la città di Tebe non praticava sacrifici in suo onore; pertanto, il reggente Creonte promise in sposa la sorella Giocasta (da poco rimasta vedova del re) a chi avesse posto fine al flagello. Il mito racconta che il solo Edipo riuscì a risolvere l’enigma che recitava pressappoco così: «Qual è l'animale che al mattino ha quattro zampe, a mezzogiorno ne ha solo due e alla sera tre?», Edipo rispose «l’uomo», dal momento che durante l’infanzia ‘gattona’ (va a quattro zampe), poi si regge su due piedi e infine si appoggia al bastone nella vecchiaia (divenendo di fatto tripede). Risolto l’enigma si narra che la Sfinge si gettò dalla rupe o, secondo altre versioni, divorò se stessa, mentre Edipo sposò Giocasta, divenendo nuovo re di Tebe (quel che non sapeva, però, è che la sposa era sua madre, ma questa è un’altra storia…). Affascinante è la rivisitazione che del mito della Sfinge dà Jean Cocteau, secondo il quale la creatura aiutò Edipo nella risposta, forse perché lo amava, forse perché non voleva più uccidere, forse perché il suo tempo era ormai finito; difatti la ‘morte della Sfinge’ rappresenta una sorta di età di passaggio: dal tempo dei miti ancestrali al tempo del Pantheon olimpico.

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Alba Subrizio

Alba Subrizio

«E quel giorno che ha potere solo sul mio corpo e su null’altro, ponga pure fine, quando vorrà, alla mia vita. Con la miglior parte di me volerò eterno al di sopra degli astri e il mio nome non si potrà cancellare, fin dove arriva il potere di Roma sui popoli soggiogati, là gli uomini mi leggeranno, e per tutti i secoli vivrò della mia fama…». Così Publio Ovidio Nasone conclude il suo capolavoro “Le Metamorfosi”; sulla scia del grande Sulmonese. E, allora, eccomi qui a raccontarvi di miti, eziologie e pratiche del mondo antico… che fanno bene anche oggi.

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