IL MATTINO
I pensieri dell'Altrove
22.03.2015 - 10:35
Dopo il vento, le cose si fermano. L'aria ritorna quieta, i rami sottili piegati fanno lavori dignitosi di rialzamenti, le foglie sono partite per spazi lontani, le più affezionate restano confuse e stordite in qualche angolo vicino, le nuvole le vedi ciondolare stanche, dopo la grande corsa. Una sorta di ripristino necessario verso le regole o verso un ordine di riferimento che però rimane biologicamente provvisorio. Dopo il vento le fratture che prima si percepivano diventano scomposizioni nette, i lembi logorati si sono strappati, le crepe sono diventate concrete sostanza di vuoto. Ritorna lo spessore denso del silenzio, e in questa dimensione ti ritrovi a togliere polvere e aggiungere acquisizioni, forse a cambiare posizioni alle cose. Una ambiziosa e delicata operazione di salvataggio di idee, oppure una spaccatura che spinge verso nuovi luoghi da camminare. Dopo il vento le teorie fragili si spaventano e diventano rinunce, gli avvenimenti e le riflessioni nuove fanno prevedere i cambiamenti. E arriva una tregua leggera oppure molto dolorosa nei giorni successivi, un corridoio di attese che portano le trasformazioni, perché noi umani siamo così, plastici e mutevoli, variabili nella crescita e imprevedibili nelle relazioni. Dopo il vento forte si risale alla necessità di una ricerca cruda di sé, a trovare nel tempo il coraggio di attraversarsi fino in fondo, a promettere alla nostra anima che il prossimo viaggio sarà più coerente con le nostre forze. Eppure, nonostante i numerosi riordini, la potenza delle passioni ci fa ogni volta tornare analfabeti e senza memoria del dolore, e quindi vira energica verso nuove valutazioni sbagliate, altre lesioni inevitabili, altri tagli senza anestesie. Si, pare sia così. Cioè che le nostre vite siano come case dopo il passaggio di un vento violento, così violento che come un terremoto ha fatto crollare i muri, ha fatto ammucchiare tutto senza rispetto, ha scoperchiato convalescenze non ancora risolte. Di fatto queste case non le potresti più vivere, sono malate ed instabili, ma noi, devoti ad un richiamo ondivago e selvaggio ed alla irresistibile seduzione del rischio, continuiamo incautamente a camminarci dentro. Umanamente.
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