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I pensieri dell'Altrove

Qui "kabul", il paese dei monti dauni lost in the wind

Il rischio e la certezza di questi paesi è che non esiste alcuna forma certa di politiche sociali che trattengano, piuttosto che far andare, che i luoghi sono pieni di un disamore che non chiede di essere curato, pronto ad una eutanasia veloce, senza troppe facce e mani colpevoli.

Qui "kabul", il paese dei monti dauni lost in the wind

A 'Kabul' c'è sempre vento e c'è sempre l'aria livida della guerriglia. Quando apri la porta la mattina e dai le spalle ai muri per andare nello sbattimento ventilato, ti prende un momento di spavento prima di sapere che forse oggi non ci sarà nessun morto o nessun funerale, che le ferite saranno lievi e che non si parlerà della partenza di nessuno per un altro luogo, che non si chiuderà nessuna altra porta, che dietro ai vetri delle finestre stasera non vedrai altro buio, che resteremo i pochi che siamo, che le vene giovani continueranno a battere fra queste strade malconce, anche se lo sguardo è orientato verso il mondo, subito dopo la curva di casa. Il rischio e la certezza di questi paesi è che non esiste alcuna forma certa di politiche sociali che trattengano, piuttosto che far andare, che i luoghi sono pieni di un disamore che non chiede di essere curato, ma  piuttosto è pronto ad una eutanasia veloce, senza troppe facce e mani colpevoli. Dispersioni di energie come pollini nel vento, appunto, sforzi compiuti sempre più con scarse convinzioni, soldati pronti a portare il sudore altrove, come se il sud intero di un mondo storto spingesse verso l'alto per ritrovarsi, in un faticoso viaggio, verso luoghi che danno ancora possibilità di concretizzare cose, o che sappiano almeno ascoltare le convinzioni di potercela fare. Qui nei venti siamo rimasti noi, cioè pochi, sono rimasti i cani notturni che si accoppiano in un'abbaiare vuoto ed affamato; restano le frane, sempre più voraci di terra che chissà quando, in un giorno qualunque di attese inutili, inghiottiranno silenziosamente anche noi; resta un senso di acido e selvatico che non vuole arrendersi alla gentilezza, e si è attaccata alle pietre una malattia ereditaria ed insolente che però la chiamano impotenza. O rabbia endemica. Ogni giorno è un guardare negli occhi dei figli e non sapere dove li stanno portando, è un chiederti se la nostra politica ha ancora una risposta adeguata ai loro bisogni, è avere paura di non conoscere il piccolo, immediato futuro, è come infilare la mano nella bocca della maschera della verità e non sapere se te la restituisce intera o se te l'ha appena strappata per cattiveria o per fame. In estate però si ritorna. Ci si rivede, quelli delle nostre generazioni e i loro figli, ma sempre con minore allegria. Affezionati e fedeli, ma se gli chiedi se hanno voglia di non venire solo a trovarlo, il paese, ma di viverlo per gli anni a venire, le facce si contraggono e molti, i più sinceri, ti dicono "non sia mai", cioè è un no. A "Kabul" le strade sono un percorso pieno di mine, gli alberi mancano perché si è guadagnato un pugno di grano, i cecchini non sono appostati sui tetti, ma sono i nostri confini stretti e i nostri desideri corti, sono i binari di ferrovie dismesse e arrugginite, sono le chiacchiere vuote che si consumano per consumare il tempo e per diluire la paura della morte, sono domande che se trovano risposte oneste diventano graffi sulla faccia. A "kabul", noi siamo sempre un po' arrabbiati e un po' stanchi, a volte desolati, altre volte fragilmente emotivi, ma troviamo il coraggio quotidiano dalle nostre storie coperte solo dalle nostre ruvide scorze. E, forse, qualche sera senza venti, dai tramonti densi e sanguigni rubiamo l'entusiasmo per un'ultima forma di pace.

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Mariantonietta Ippolito

Mariantonietta Ippolito

Il pensiero è la forma più inviolabile e libera che un individuo possa avere. Il pensiero è espressione di verità, di crudezza, di amore. Quando il pensiero diventa parola il rischio della contaminazione della sua autenticità è alto. La scrittura, invece, lo assottiglia, ma non lo violenta. Io amo la scrittura, quella asciutta, un po’ spigolosa, quella che va per sottrazioni e non per addizioni. Quella che mi rappresenta e mi assomiglia, quella che proverò a proporre qui. Dal mondo di “Kabul” al vasto mondo dei pensieri dell’”altrove”.

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