IL MATTINO
I pensieri dell'Altrove
18.05.2014 - 09:19
L'attesa di Penelope. Acrilico su tela, 2011, Massimo De Rigo
Da un certo punto in poi smetti di aspettarti qualcosa da qualcuno. Capisci che rinunciare alle aspettative non è un segno di sfiducia, ma un inizio di saggezza. Capisci che la fame di attese si piega all'appoggio che devi procurare al tuo reale, alla tua precarietà di entusiasmo, al tuo allontanarti dalle rotte delle illusioni, capisci che c'è dispersione di energie e vai al risparmio o alla manutenzione oculata di quelle rimanenti. Allontanarsi dalla posizione di attesa per avvicinarsi a quella di una mediazione fra un respiro neutro e l'accondiscendenza alla mediocrità un po' miope e un po' scema, ad un certo punto è salutare. Non è che si viva meglio o diversamente, solo che si riduce l'ansia giovanile e le passioni sono meno devastanti, la bellezza non è più solo sulla pelle ma nella complessità delle relazioni, la pazienza non più una virtù ma una necessità, i bisogni non sono più coniugati ai sogni, le occupazioni si tramutano in preoccupazioni, le gioie sono più contenute e le esuberanze fanno posto alla pacatezza. Da un certo punto in poi smetti di aspettare perché nel tuo profondo c'è la sfacciata verità che ti spinge a credere che qualcosa, ora, ti sia semplicemente dovuta, e che passata l'ora della competizione dei dilettanti dovremmo avere delle attestazioni e dei consolidamenti di stima per le azioni compiute. Non si diventa per questo meno generosi o attenti, meno elargitivi o più calcolatori, è che subentra una fisiologica debolezza che va sostenuta da vitamine senza domande, che siano pure e mirate, che compensino la carenza di acume che hai sempre largamente erogato e che, in qualche misura, non ti è stato specularmente riservato. I percorsi della vita sono un po' come un viaggio, prima decidi dove andare e perché devi andare, poi paghi il biglietto (o più biglietti), infine ti avvii. Che sia una partenza all'alba o nelle ore del tramonto, porti le tue gambe e le tue fatiche, porti le tue fantasie e i tuoi timori, i tuoi segreti e le tue pagine vuote. A volte sembrerà che si stia facendo un viaggio in mezzo al nulla, a volte le lune piene ti faranno venire il freddo della bellezza gelida, a volte le esperienze sono tocchi lievi e sei grata al tuo destino. A volte i brividi ti bucheranno lo stomaco, a volte i capelli si incastreranno in nodi che non si scioglieranno, se non deciderai di tagliarli. Ma si parte, sapendo di dover scendere e camminare, di inventare e sopportare, di dover fare e di aspettare. Ma, da un certo punto in poi, i giorni diventano sempre più corti, e aspettare diventa un turbamento, una dichiarazione inutile, uno sforamento dispersivo al nostro tempo intimo. Forse, si esauriscono le prove muscolari e si affinano le doti personali, forse ci si comincia a bastare, a conoscere aree interne isolate ma con qualche residua risorsa, a pensare crudelmente che intorno a noi non abbiamo sempre alberi giovani con le foglie verdi, ma rami secchi che vanno potati, forse semplicemente ci dirigiamo verso altri momenti, altre ricerche, altri luoghi. Forse, ma io sono certa che sia così.
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