Mi viene in mente che fino a qualche tempo fa avevamo il gioiellere 'di fiducia', il macellaio, il farmacista, il commerciante di tessile dove le nostre mamme, per i nostri corredi, stipulavano rapporti stretti di commercio, di patteggiamento e di amore per le nostre tovaglie e le nostre lenzuola col pizzo burano o macramè. Ora, per tutto ciò, c'è la Mongolfiera. Un circolare e completo circuito di affari e di domande d'acquisto, un mercato che soddisfa il consumatore dal merluzzo dell'Adriatico alla canottiera a spalla larga, dalle pantofole prendi due paghi una alla padella antiaderente ottima per uova fritte, dall'anello per l'anniversario allo scrostante super profumato per il wc. Un capolavoro di concentrazione del tutto, perché è vero che trovi tutto. Anche l'umanità più varia, a partire dal parcheggio che l'umanità suddetta si contende puntualmente vicino alla porte di ingresso e di uscita, agli extracomunitari che ti chiamano 'mama' e che si improvvisano porta carrelli, porta buste, parcheggiatori. Sono sempre tanti, giovani, a me spesso viene desiderio di sapere come si chiamano, dove vive la loro mamma, dove vanno a dormire, se hanno un amore. Ma si va sempre di fretta, dietro ad un semaforo o davanti ad un appuntamento, con un allenamento all'ansia che se lo perdi per cinque minuti e ti rilassi ti pare di prendere immediatamente cinque chili di peso. È per questo che ci sono i centri commerciali: prendi un carrello fra le mani e hai la pretesa, in poco tempo, di aver celebrato la messa della spesa settimanale, intelligentemente tutta in una volta e tutta insieme, così che poi andiamo in pace, anche per aver dato il nostro contributo all'economia nazionale. In Mongolfiera si sta bene quando fuori piove e fa freddo, o quando fa molto caldo e dentro vai a fare la crioterapia, trovi tanta gente e tanto spazio e tante luci. Trovi sempre anche il compaesano, che in piazza non ti conosce, ma che lungo 'il corso' del centro commerciale viene preso da un fatale, irresistibile affetto e ti bacia, ti chiede come stai, se magari vuoi un caffè. È bella 'sta cosa, fuori dai nostri ristretti recinti abbiamo la necessità di ristabilire le nostre origini geografiche, e riconoscerci ci fa sentire più sicuri, esuberanti e gentili. Ma, forse, può anche essere che in città ci viene fuori un'educazione nascosta che porta ad essere più civili e solidali, mentre in paese vige la consolidata regola della socialità scarna e un po' selvatica, quella fatta più di gesti che di parole. Comunque, a me piace andare nei centri commerciali negli orari in cui normalmente i negozi 'fuori' sono chiusi, mi danno l'idea di una vita parallela alla pausa pranzo che mi mette contentezza, la città che non fa il riposo pomeridiano mi dà compagnia e mi regala il senso di una socialità in modalità continua. Non pesti cacche di cani come sui marciapiedi, ti puoi regalare una botta esplosiva di colesterolo mangiando quei famosi panini impastati di salse, ti puoi addirittura sedere su delle panchine e qualche volta, se sei particolarmente stanco, puoi approfittare dell'invito per provare un materasso o una poltrona che dovrebbero, se li acquisti, tenerti lontano da radiografie alla colonna vertebrale per tutta la tua vita. C'è tutto un mondo, nei centri commerciali, e in fondo con i loro cieli chiusi, con le vetrine sempre accese e il via vai lungo il 'corso' riparato da ogni vento e da ogni clima avverso, questi moderni luoghi sono diventati la nuova veste dell'aggregazione umana. E saluti cari e pieni di ritrovato affetto a tutti i compaesani che incontreremo, soprattutto la domenica.
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Mariantonietta Ippolito
Il pensiero è la forma più inviolabile e libera che un individuo possa avere. Il pensiero è espressione di verità, di crudezza, di amore. Quando il pensiero diventa parola il rischio della contaminazione della sua autenticità è alto. La scrittura, invece, lo assottiglia, ma non lo violenta. Io amo la scrittura, quella asciutta, un po’ spigolosa, quella che va per sottrazioni e non per addizioni. Quella che mi rappresenta e mi assomiglia, quella che proverò a proporre qui. Dal mondo di “Kabul” al vasto mondo dei pensieri dell’”altrove”.