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Quintale più quintale meno

Quintale più quintale meno

Ad un mese dalla Pasqua, Gerardo decise di chiamare il macellaio di Roccacastello per vendere gli agnelli. Era la prima entrata importante dell'anno e occorreva muoversi per tempo.

Anche se Gerardo aveva un mucchio di candidati, tra i macellai della zona, per comprare i suoi agnelli, Mastr'Onorio gli aveva promesso di più e c'era bisogno di soldi, anche se la guerra era ormai finita da dieci anni.

Gerardo d'Errico aveva ereditato una bella masseria dal padre e aveva imparato ad amarla come una persona cara. Ma più di tutto, teneva il gregge come i suoi stessi occhi. Si era bagnato di debiti fino all'osso per comprare dal barone Filiasi tutto quello che rimaneva del suo gregge: Altamurana Gentile, le uniche pecore rimaste di quel tipo. La razza si era estinta.

Una lana che il cachemire sembrava juta al confronto, un formaggio di una dolcezza inarrivabile, anche il più stagionato. Ma la carne degli agnelli era il massimo. E chi la assaggiava, dopo non poteva mangiare altro.

La faccenda funzionava così: arrivava il macellaio con il suo camion e un paio di lavoranti e sceglievano gli agnelli da comprare. Venivano pesati -si vendevano un tanto al chilo da vivi- e pagati in contanti sul posto. Dopodiché, ognuno per la sua strada e arrivederci all'anno prossimo.

Bisognava stare attenti però con Mastr'Onorio. Non aveva una reputazione limpida e i trucchi per barare sul peso erano tanti. Con solo il massaro Gerardo non poteva controllare la situazione e c'era bisogno almeno di un altro paio di occhi. Del pastore non si fidava. Per una buona mancia Rocchino era capace di far sparire l'intero gregge.

   Tra i figli di Gerardo, Giuliana era l'unica sempre disposta a seguire il padre. Gracile e timida, oppressa dal fratello e dalla sorella, viziati e prepotenti, stava bene solo con le bestie. Il figlio maschio è il figlio maschio, la sorella maggiore è la sorella maggiore, e lei rimaneva sempre in coda. Funzionava così a quei tempi, non era una cosa fatta per cattiveria e Gerardo amava tutti i suoi figli, senza distinzione, riservando loro eguale misura di sentimenti. Ma nelle decisioni pratiche l'ordine di arrivo in famiglia era legge.

-Chi viene in campagna con me domani?-

Dopo i primi due "no", inevitabili, Giuliana fu ben felice di accettare. Si trovava bene solo in campagna, tra le pecore e i campi di frumento e anche se ormai era troppo grande per tuffarsi e nuotare nei cumuli di grano raccolto, ogni volta tornava spensierata e felice.

La sera stessa la mamma le consegnò un santino. Era l'immagine della Madonna di Pompei.

"Tuo padre domani deve fare commercio con una persona pericolosa -disse Donna Teresa- tieni la Madonna con te e non le parlare di soldi. Basta che vi tiene al sicuro"

Giuliana prese il santino, senza comprendere bene di cosa la mamma parlasse ma rassicurata dall'immagine ed elettrizzata dallo scoprire che l'indomani non sarebbe stata una giornata come le altre.

Partirono prestissimo e alle sette erano già davanti all'ovile, ad aspettare Mastr'Onorio con il suo camion, nell'aria ferma, non ancora rovente per il caldo che già a maggio asciuga la marana e polverizza il terreno, mandandolo in bocca ad ogni soffio di vento.

Il camion giunse alla vista sin dal principio del vialone, rincorso dal branco di pastori abruzzesi che ormai stazionava da anni, moltiplicandosi e difendendo un territorio che consideravano il loro. Districandosi dai latrati scese Mastr'Onorio da un fiammante OM da carico, con il gabbione per gli animali saldato sul cassone.

A Giuliana non piaceva. Sembrava untuoso e sorrideva solo con i denti mentre gli occhi guardavano veloci in cerca di un punto debole per colpire.

"Don Gerardo carissimo! Va tutto bene? Ma che bella guaglioncella! Chi è, vostra figlia?" Iniziò a dire in maniera untuosa mentre buttava in avanti una mano insincera.

"Tutto bene -disse sbrigativamente- se vogliamo cominciare ad andare alla pesa, così poi carichiamo gli agnelli, che devo tornare a casa per cena."

Compreso che la simpatia non funzionava Mastr'Onorio tornò alla sua vera faccia.

"Va bene, andiamo alla pesa. Volete far venire qualcuno con me?"

Nelle vicinanze c'era una pesa pubblica, una enorme piattaforma in ferro, interrata in modo da aver le le molle e la bilancia sotto il terreno e la piattaforma a filo. I camion salivano sopra senza difficoltà, venivano pesati prima vuoti e poi con il carico. La differenza dava il peso del carico. Chi avesse voluto fare il furbo avrebbe potuto benissimo caricare il camion vuoto con un peso nascosto.

Di solito si usavano dei tufi o delle sbarre di ferro. Se l'acquirente fosse riuscito a liberarsi della zavorra nel momento tra la prima pesa, a vuoto, e prima di tornarci con il carico degli agnelli, avrebbe ottenuto gratis in agnelli il peso della zavorra perché gli agnelli avrebbero preso il posto dei tufi e non sarebbero usciti come peso di carico.

  Non aveva senso sorvegliare il camion alla prima pesata ma Onorio aveva chiesto lo stesso. Un gesto, come mettere le mani avanti inutilmente, dal quale Gerardo comprese che qualcosa era in preparazione.

"Adesso no, Mastr'Onorio -disse Gerardo- magari quando torniamo, così non perdete la strada tra queste trazzere. Voi non siete di queste parti."

Mastr'Onorio strinse gli occhi porcini, non fece nemmeno finta di sorridere.

"Vabbuò -sussurrò- jamm guaglió"

Portato il camion vuoto alla pesa, l'addetto, che conosceva Gerardo da bambino, gli disse a mezza voce.

"Don Gera', questo è un Leoncino della OM. Vuoto pesa sei tonnellate e mezzo. Qua sta almeno un quintale di troppo."

"Sei sicuro? -chiese angosciato.

"È uscito cinque anni fa. È da un anno che ci faccio l'amore che me lo vorrei comprare. Ho letto tutte le specifiche. Sono sicurissimo."

Un po' di cresta poteva pure passare, ma un quintale in agnelli era un danno grosso. Gerardo si sentiva bollire la testa e uscito fuori non riuscì a stare zitto e agitò in aria la ricevuta di pesa.

"Mastr'Ono' ma quanto vi pesa il camion? Leggete qua!"

Il macellaio non si scompose. "È il gabbione. L'ho fatto mettere io"

"Ma quanto pesa? -chiese Gerardo poco convinto- non è così pesante un gabbione."

"Don Gera' avrò usato un ferro pesante, comunque se volete controllare il carro."

Non lo poteva controllare. Era la scusa per passare a vie di fatto. Guardò Giuliana che studiava la pesa, curiosa, e capi di aver fatto uno sbaglio a portare la figlia piccola. Maledisse la propria stupidità.

"Non c'è bisogno di controllare. Con Mastr'Onorio non serve" ripeté meccanicamente una formula di cortesia. Era sconfitto. Ecco perché gli aveva offerto di più. Dieci lire in più  al chilo erano nulla se un quintale era gratis.

Inutile anche seguirlo al ritorno. Avrebbe finto di andare fuori strada al primo tratturo sganciando i tufi o il ferro in mezzo alla polvere.

Gerardo si avviò alla masseria e attese l'arrivo di quel delinquente calcolando già il danno. Tornato il macellaio e i due faticanti, cominciarono a caricare gli agnelli.

Per Giuliana quello era il momento peggiore. Vedeva gli agnelli strappati alle madri mentre scappavano in tondo lungo le pareti dell'ovile. Qualche pecora cercava anche di caricare ma veniva ignorata. Non era nella loro natura farsi rispettare. Sul camion poi era uno strazio. Un agnello belava, e una pecora, solo una, la mamma, rispondeva. Giuliana non lo sopportava, anche il padre aveva la faccia triste, e fu allora che le venne l'idea.

Tirò fuori il santino e, accarezzando una pecora fra le sbarre del gabbione, buttò dentro l'immaginetta.

"Vi darà forza, poveri agnellini."

"Giulianella, levati da là -disse il padre- il camion sta partendo."

La seconda pesata doveva essere un disastro. Eppure Gerardo si trovava con il peso, chilo più chilo meno. Qualcosa non aveva funzionato o Mastr'Onorio si era comportato onestamente?

Gerardo ringraziò la provvidenza e si mise a fare i calcoli con un pezzo di gesso sul tavolone della pesa. Onorio era  pallido e pareva fosse sul punto di urlare.

"Ecco qua, Mastr'Onorio. Sono novanta settemila quattrocentotrenta. Ti tolgo le trenta lire."

"È giusto il conto?"

"Mastr'Ono', questo è il peso, il prezzo al chilo lo abbiamo pattuito, se volete potete controllare."

"Con Don Gerardo non serve controllare" disse asciutto. Pagò e se ne andò con il camion.

Gerardo stava quasi svenendo per il sollievo. Sollevò Giuliana tra le braccia, come quando era piccola. Le diede un bacio e si avviò verso casa.

 

Mastr'Onorio era idrofobo. Il viaggio di ritorno fu tutto un urlare e tanto grosse erano le bestemmie del macellaio che nemmeno gli agnelli facevano un suono. Aveva già fermato tre volte il camion per controllare. I tufi non c'erano più. Scaricati dopo la prima pesata, quella con il camion vuoto.

Doveva andare tutto bene e invece se ne era accorto subito che il peso era sbagliato. A stento ce l'aveva fatta con i soldi, e dire che doveva guadagnarci sopra di brutto a spese di Don Gerardo.

E invece quel figlio di puttana, non si sa come, aveva fregato lui. Un imbroglio della pesa era impensabile. Per starare la pedana ci sarebbero voluti quattro giorni di lavoro e lui il camion lo aveva pesato prima con tutti i tufi. E la pesata di prova al suo paese era andata bene.

Stava per uscire pazzo. Arrivato in paese buttò giù dal letto l'impiegato della  pesa comunale, morto di paura perché  conosceva bene Mastr'Onorio.

"Dobbiamo pesare il camion."

"A quest'ora Mas...?" Incrociò lo sguardo e tacque, dirigendosi alle leve.

"Il peso è questo -disse porgendo il biglietto quando ebbe finito. Era lo stesso dell'altra pesa.

"Giù gli agnelli -urlò furente- lo pesiamo a vuoto"

"Ma poi scappano -intervenne uno dei ceffi"

"Giù gli agnelli ho detto -ringhiò prendendolo per il bavero- giù gli agnelli!"

Ormai era fuori di sé. 

Gli agnelli vennero tolti. E la metà scappò, ma a Onorio non interessava più.

A vuoto il camion pesava come se i tufi fossero ancora a bordo.  Lo pesarono due, tre volte. Mastr'Onorio prese il camion a pedate, gli martellò la chiave inglese sopra, cercando di procurare irrazionalmente un dolore alla macchina che lo aveva tradito. I due ceffi si erano dileguati da venti minuti, convinti che ormai fosse impazzito.

Fu mentre stava cercando di smontare il gabbione saldato sul camion, folle di rabbia, da solo, a rischio di ammazzarsi, che una folata di vento nella notte ferma sollevò il santino che era rimasto sul pavimento del cassone, calpestato dagli agnelli e impastato tra la paglia e il letame di quelle povere bestie. Il santino volò via e il camion, che era ancora sulla grande bascula della pesa, perse di peso e salì in alto -come quando si toglie la pasta dalla bilancina e il piatto si solleva- con un barrito di ferraglia.

Mastr'Onorio che era dall'altra parte venne sbilanciato dai pochi centimetri di spostamento in alto e cadde di sedere per terra, fissando il camion con gli occhi sbarrati. All'interno la pesa segnò di botto un quintale in meno, svegliando l'attonito e insonnolito impiegato.

Nessuno vide il santino, portato dal vento verso il buio della notte.

Verso le luci fioche del paese intanto, abbandonato il camion, camminava mesto Mastr'Onorio,  imprecando e con la testa piena di vento.

 

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Marco Scillitani

Marco Scillitani

È nato nel 1967, il 23 novembre, giorno che gli ha consentito di festeggiare un compleanno indimenticabile con il terremoto del 1980. Fa l'avvocato non per vivere, ma perché lo trova interessante e, non avendo mai saputo usare le mani gli è parso il metodo più efficace per raddrizzare le cose storte. Insegna Magia e Formule all'Università, ma di nascosto. Chi lo ascolta crede che parli di Procedura penale. Solo il titolare della cattedra se ne è accorto ma fa finta di niente. Da piccolo ha cominciato a osservare quello che gli accadeva intorno, collezionando storie e territori immaginari. Quando qualcuno glielo chiede, le restituisce. Ma non si assume responsabilità.

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