IL MATTINO
La riflessione
01.08.2015 - 16:43
Micky De Finis
La crisi che ha colpito Teleblu e travolto i suoi giornalisti con il comparto tecnico ripropone il tema antico che accompagna buona parte dell'editoria locale, affrontato ieri sulle pagine di questo giornale con l'attenzione critica di cui sa essere capace il suo direttore. Una lettura dolorosa ma doverosa quella disegnata da Antonio Blasotta, dalla quale rimane difficile discostarsi senza raggirare gli aspetti cruciali, veri che gravano come palle al piede sul sistema dell'informazione praticamente da sempre. La vicenda della "tivù con le ali" è, molto probabilmente, emblematica perché raccoglie in sé tante contraddizioni, unitamente al tentativo sicuramente lusinghiero di un imprenditore, Tito Salatto, di fare impresa televisiva in un panorama complesso, denso di criticità vischiose che anche noi giornalisti, forse, non abbiamo avuto la capacità, o la forza di saper capire e gestire al meglio. Conosco bene la storia di Teleblu, sin da quando iniziò la sua avventura rilevando la mitica RTF dei fratelli Accarrino. Una televisione, bisogna riconoscerlo, che è riuscita negli anni a dare un taglio di qualità, marcare una cifra professionale notevole perché capace di leggere e a volte di condizionare il contesto territoriale anche quando il suo editore decise di spendersi in prima persona nell'agone politico. Insomma, Teleblu è stata ed è una televisione che ha saputo fare informazione, cercando di rompere alcune convenzioni silenziose, infrangendo schemi più o meno collaudati di coperture incrociate tra la politica, i potentati economici e le varie lobbies che nell'ombra di questo bosco hanno radici. Quando poi succede, com'è accaduto ora, che il sostenitore di quest'avventura, cui va dato atto di aver speso una barca di danaro per fare una traversata di questo tipo, non trova più la forza, le risorse per proseguire, tenere il mare, ecco allora che ci si interroga sui limiti, sulle scelte mancate, sull'impraticabilità di una via se non a prezzi elevatissimi e non solo materiali. Ho diretto Teleblu un paio di volte nella mia attività giornalistica e ricordo bene le difficoltà di tener testa ad un imprenditore molto esigente, pur potendo contare sul lavoro di colleghi di grande esperienza e professionalità. Credo però, ma questa è una mia personalissima opinione, che Salatto non abbia ben considerato nella distanza gli aspetti propri di un'azienda editoriale, non molto dissimili da quelli di altre aziende dove l'imprendere impone di necessità altre scelte, in cui la politica può fare poco o nulla, se non condizionare o danneggiare addirittura la tenuta, la stabilità, la vita dell'azienda stessa. Questa sottovalutazione ha eroso la sua capacità, soprattutto materiale, di gestire un'azienda che, al di là del lavoro eccellente prodotto, non poteva reggere, inutile nascondere una verità così solare. Lui, Tito Salatto, per come lo conosco, ha invece voluto crederci, insistendo su una rotta anche quando la navigazione era diventata impossibile, ma da uomo di mare qual è ha compreso che bisognava fermarsi. L'anamnesi della storia sta nella lettura che Blasotta ricava dall'esperienza, dalla sua conoscenza, anche diretta di uomini e cose: è tutto riconducibile ad un limite culturale della società che ci circonda. Perché se a scandire il ritmo di una comunità è sempre la cultura del breve respiro, l'azienda che produce informazione avrà sempre fiato corto e quindi vita breve, perché le leggi della politica e quelle ancora più dure dell'economia dettate dai padroni del vapore ne condizioneranno sempre la crescita, il futuro. Cambieranno le cose? Non saprei dire oggi ma Teleblu, certamente non porterà il suo natante in un museo. Riprenderà le acque, forse correggendo la rotta per una navigazione più sotto costa. Lo consiglia il momento nel tempo del cambiamento.
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