IL MATTINO
L'appello
24.01.2019 - 23:50
“Emergenza rifiuti”, cumuli di spazzatura e conseguente rischio sanitario che compromette la salute dei cittadini sono gli argomenti sempre più imperanti dalle testate giornalistiche alle tv, ai social network. Vediamo di capirne di più…
Cosa caratterizza il problema rifiuti nel Mezzogiorno?
«In modo particolare uno dei nodi centrali è caratterizzato dal corretto smaltimento e dalla parziale assenza di investimenti in nuove tecnologie in grado di riciclare e valorizzare adeguatamente tali risorse per creare anche opportunità di lavoro. Il problema dei rifiuti non può essere isolato dal suo contesto, cioè dalle produzioni e dai prodotti che li generano, dai modi del loro consumo. Alla luce del contesto il tema rifiuti si colloca all'interno di una contesa tra culture diverse in cui le posizioni dei contendenti si radicano entrambe nell'ambito della modernità, ma con esiti sempre più divergenti. Da un lato abbiamo la cultura della crescita: consumo di beni sempre più inutili, mentre milioni di persone mancano del minimo necessario. Il "danno collaterale" di questo consumo è costituito dalla crescita dei rifiuti, perché tutto ciò che viene prodotto è destinato a trasformarsi in rifiuto in un lasso di tempo sempre più breve in un’ottica di economia lineare. Quindi, tanto vale produrre direttamente rifiuti: l'usa-e-getta (nel cui novero rientrano tutti gli imballaggi "a perdere") non è altro che la fabbricazione di rifiuti destinati a qualche effimera funzione per il tempo più breve possibile. Ma la cultura della crescita ha sempre una ‘tecnologia’ pronta per rimediare a tutto: per i rifiuti prima (ma anche ora) c'era la discarica, più o meno ‘controllata’; poi l'inceneritore (il sogno di ‘mandare in fumo’ tutto ciò che non ci serve); poi il termovalorizzatore (la produzione di energia più costosa mai comparsa sulla Terra: il termovalorizzatore manda in fumo con rendimenti energetici infimi non solo quello che brucia, ma anche tutta l'energia consumata per produrre i materiali che usa come combustibile e che potrebbero invece venir riciclati); infine il "ciclo integrato" dei rifiuti, inframmettendo tra pattumiera e inceneritore altre macchine per separare il secco dall'umido e infine un po' (sic!) di raccolta differenziata, ma non troppa, altrimenti il termovalorizzatore si spegne. Il secondo contendente di questa contrapposizione è la ‘cultura della sobrietà’. Non è organizzata, né sponsorizzata, né roboante; ma in qualche modo si radica in ciascuno di noi quando realizziamo che la rincorsa ai consumi è soprattutto una corsa alla produzione di rifiuti che rende tutti più poveri e intasa il mondo. Anche la cultura della sobrietà è figlia della modernità: non è frutto della penuria, della nostalgia per il passato o di una volontà di espiazione; bensì di saperi che ci guidano a usare le risorse in modo ragionevole. Non ha inventato macchine volanti ma il deltaplano, che permette di realizzare il sogno di Icaro sfruttando i movimenti dell'aria, o la bicicletta, che moltiplica il rendimento dello sforzo che si fa per camminare, o il trasporto flessibile, che combina velocità, comodità e risparmio di spazio, di risorse e di energia. Non ha realizzato la fusione a freddo (la pietra filosofale che trasformava il piombo in oro e oggi dovrebbe trasformare l'acqua in idrogeno) ma i pannelli fotovoltaici e le pale eoliche, che possono fornire all'intero pianeta tanta energia quanta ne basta per una vita moderna e agevole; ma solo in un quadro di contenimento e perequazione nell'utilizzo delle risorse».
Meno consumi producono meno rifiuti, dunque?
«Sì, ma a ridurre la produzione di rifiuti saranno soprattutto quello che si produce, si consuma e il modo in cui lo si fa: le nostre scelte di acquisto. Ossia da una parte meno imballaggi superflui (oggi sono il 40% dei rifiuti urbani in peso e il 70-80% in volume), cominciando da bottiglie e flaconi a rendere cauzionati; meno prodotti usa-e-getta (un altro 10%): l'usa-e-getta ha sostituito per una frazione di secolo prodotti che prima si usavano fino alla consunzione; ma oggi ci sono sostituti dei prodotti usa-e-getta che costano e inquinano meno e sono più comodi e igienici di tutti i loro predecessori: nuovi pannolini lavabili ad esempio, oppure si pensi a lavastoviglie che evitano il ricorso a piatti e bicchieri di plastica nelle mense. Dall’altra più prodotti venduti sfusi (‘alla spina’), a partire dai detersivi; meno sprechi di avanzi alimentari, per lo più frutto di una spesa fatta senza programma; più compostaggio domestico dei rifiuti organici (ovunque si disponga di spazi adeguati, e lo può essere anche un balcone); adozione di prodotti tecnologici modulari (computer, hi-fi, cellulari, elettrodomestici), in modo che per adeguarli ai progressi della tecnologia non sia necessario sostituire tutta ‘l'attrezzatura’, ma solo le componenti elettriche logore e/o obsolete; una moderna regolazione e incentivazione del mercato dell'usato, per non mandare in discarica o in fumo quello che milioni di persone sono ancora disposte a usare. E poi, ma solo poi, raccolta differenziata capillare porta-a-porta, responsabilizzando gli addetti affinché intrattengano un rapporto diretto con gli utenti; impianti di compostaggio e bio-metano (ben dimensionati e decentrati sui territori, per evitare che i rifiuti possano percorrere lunghe distanze!) e di recupero dei materiali; incentivi agli acquisti ecologici (green public procurement) per enti pubblici e imprese, per fornire un mercato ai materiali riciclati. Sono cose semplici, alla portata di cittadini, enti locali e imprese grandi o piccole, ma tanto più urgenti, anche ricorrendo a misure straordinarie, quanto maggiore è l'emergenza rifiuti che soffoca un territorio. Intervenire alla fonte, in base alla gerarchia delle priorità indicata oltre trent' anni fa da Ocse ed Europa: riusare, ridurre, riciclare, e poi smaltire - termovalorizzatore e discarica - solo quello che rimane. Se si fa tutto ciò, che cosa resta da bruciare in un termovalorizzatore? Quasi niente: non l'acqua (60-70%) contenuta nel residuo organico sfuggito alla raccolta differenziata; non la carta, talmente bagnata da non poter essere conferita insieme a quella riciclabile; non il vetro e le lattine, che invece di bruciare assorbono calore. Ma neanche quel poco di plastica che resta dopo una buona raccolta differenziata (che in alcuni comuni come quello di Foggia è ancora assente, con notevoli aggravi economici sulle tasche dei cittadini!). Non tutta la plastica che viene raccolta nei cassonetti della raccolta differenziata può essere riciclata. Una parte considerevole di quanto mettiamo nel cassonetto (il 40% circa) non può essere riutilizzata e finisce nelle discariche o nei termovalorizzatori, che rispetto alle discariche consentono il recupero termico ed elettrico. Sempre più comuni stanno aderendo all’iniziativa promossa dal Ministero dell’Ambiente denominata “Plastic Free Challenge”, affinché vengano eliminati gradualmente tutti gli articoli in plastica monouso: un passo importante a favore di quel cambiamento culturale che non può più attendere».
E allora?
«Allora, anche nel campo dei rifiuti, la cultura della sobrietà ha soluzioni, anche tecnologicamente molto sofisticate. Per raggiungere risultati che la cultura della crescita riuscirà a conseguire, occorre un intenso confronto con le comunità locali, proponendo progetti realmente sostenibili, in grado di valorizzare il territorio e creare nuovo valore aggiunto per le comunità. Stando ad uno dei dossier rifiuti urbani dell’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, ndr), nel 2016 nessun comune al Sud ha applicato la tariffa puntuale!»
Che cos’è la tariffa puntuale e come si calcola?
«È una tariffa il cui principio è semplice: il cittadino paga in base al rifiuto indifferenziato prodotto. Il gestore del servizio misura il rifiuto indifferenziato (quello che andrebbe direttamente in discarica) prodotto dall’utenza, generalmente attraverso una misurazione volumetrica (che non rappresenta l’unico sistema di quantificazione)».
Quali potrebbero essere i vantaggi per i cittadini?
«Il calcolo della tariffa rifiuti si riflette nella reale produzione dei rifiuti: più il cittadino fa bene la raccolta differenziata e separa correttamente le varie frazioni merceologiche e meno paga sulla tariffa e meno impatta negativamente sull’ambiente. Solo in una ottica di economia circolare possiamo fare in modo che i rifiuti non diventino uno scarto, bensì nuovi prodotti da reimmettere sul mercato. In sintesi, lo sviluppo sostenibile non deve essere considerato solo un modello di sviluppo economico, ma deve anche coinvolgere l'orientamento dei progressi tecnologici, compresi i mutamenti istituzionali e sociali. La tutela e la valorizzazione dell’ambiente, vanno di pari passo con la qualità di vita del cittadino protagonista della sua salvaguardia».
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