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Covid

Il 'tamponificio' del ministero della Salute, la Società italiana di anestesia non ci sta: «Siamo obbligati a testare anche chi ha avuto un incidente stradale»

Mentre il Paese ed il tessuto economico provano a ripartire dopo due anni di restrizioni e vessazioni, Roberto Speranza e la cerchia di super esperti, continuano a predicare cautela, imprigionati in uno status pandemico alimentato da numeri e curve. Il famoso "tamponificio Italia", ma cosa accade negli ospedali e nelle terapie intensive?

Dopo sette mesi in Italia le terapie intensive scendono sotto quota mille

Antonino Giarratano, professore ordinario di anestesiologia presso la scuola di medicina e chirurgia dell’Università di Palermo e presidente della Siaarti, Società italiana di anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva si scaglia su protocolli ormai obsoleti e fuori contesto. «Più dell’86% dei pazienti è ricoverato in intensiva per altre patologie e risulta positivo soltanto a causa di protocolli che bisogna cambiare. L’emergenza sanitaria - dice al quotidiano La Verità - che rende obbligatorio il test all’ingresso in ospedale non ha più senso. Infatti, si tratta di pazienti “comuni”. Cronici riacutizzati, chirurgici anche oncologici, cardiopatici, politraumatizzati e tutti quelli con sindromi acute che compromettono funzioni vitali. Il problema è che dobbiamo fare il tampone a tutti, anche a chi arriva da noi dopo un incidente stradale e con la contagiosità di Omicron 5 è chiaro che molti risultano positivi al test. Ma - rimarca il professore - è come se si facesse un tampone per la faringite a chi ha una lussazione della spalla e sta benissimo, chiede solo di essere operato. Il contagiato non è un malato»

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