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Ritratti: Giorgio Bassani, il grande esteta della Letteratura Italiana

Ritratti: Giorgio Bassani, il grande esteta della Letteratura Italiana

Giorgio Bassani è tornato agli onori delle cronache grazie al tema di maturità nel 2018, pur essendo tra i maggiori scrittori del secondo Novecento italiano, e pur essendo il fondatore e poi il presidente di Italia Nostra. Eppure da un certo momento in poi vi fu un’inversione di tendenza nei suoi confronti, inversione che, alla luce dell’importanza che le sue opere e anche il ruolo che "Italia Nostra" ha assunto per la conservazione del patrimonio culturale italiano e per la memoria storica del nostro paese, qualche danno ha provocato. Le ragioni di ciò sono da ricercare nel modo in cui esercitava la sua attività di editor.
«In un mondo come il nostro, volto con sempre più consapevole determinazione, ad est e ad ovest, a nord e a sud, alla ricerca e all'impiego delle competenze e dei talenti, non mi pare che sia il caso da parte degli scrittori di invocare una inserzione nell'ingranaggio della gran macchina produttiva ancora più diffusa e completa di quella attuale. […] E così bisogna servire, rendersi utili, collaborare […]. L'unica cosa da pretendere sarà se mai un'altra: e cioè che il nostro servizio, la nostra collaborazione, non abbiano a risolversi in una alienazione della nostra natura e del nostro destino. […] vendere l'anima: ecco uno sbaglio che l'utente vero, il destinatario autentico e indispensabile, così poco adatto a far parte delle inerti assemblee consumistiche vagheggiate dalle fantasie dei tecnici e dei datori di lavoro, non perdona mai.»
Bassani rifiutò ad Alberto Arbasino la pubblicazione di “Fratelli d’Italia”, per via del linguaggio e della struttura del testo, in qualità di consulente editoriale della sede romana della casa editrice Feltrinelli. Questo provocò una guerra all’interno della redazione milanese, che in quel momento stava curando la pubblicazione della neoavanguardia, corrente letteraria che si stavano definendo e affermando in Italia. Una guerra che da portò al licenziamento di Bassani da parte della casa editrice. La cosa ebbe anche un altro pesante risvolto, l'intera opera di Bassani venne degradata a letteratura di serie B.
Bassani non se ne curò, e continuò a frequentare i letterati italiani.
Con Carlo Emilio Gadda ma anche con Italo Calvino, che lo considerava un maestro, aveva una affettuosa consuetudine, ma queste guerriglie ebbero un peso sulla lettura critica ed analitica dell' intera sua opera.
Cosa imputava la neoavanguardia a Bassani? Il suo essere borghese, dimenticando che Bassani aveva dovuto fare, amaramente, i conti con la sua doppia condizione di diverso, e cioè di ebreo e di scrittore, e nello stesso tempo a loro era sfuggito il continuo lavorio che Bassani compì sulle sue opere.
«Fra due o trecento anni, quando la lingua italiana sarà diventata veramente nazionale, e non sarà più indispensabile far studiare ai ragazzi delle scuole il latino, il quale resta a tutt'oggi l'unico connettivo del caos linguistico nazionale, allora, anche in Italia, tutto sarà possibile.»
Perché non le si compresero al punto di confinare l’opera omnia di Bassani in una dimensione letteraria decadente, ombelicale, lui che era già considerato negli anni ‘60 tra i massimi scrittori italiani?
La ragione è di carattere squisitamente estetico, dimensione che in quel periodo la neoavanguardia definiva futile. Ma questa dimensione, tutt’altro che futile, nemmeno le leggi razziali avevano oscurato, quando la vita di privilegiato, per censo e per cultura, di Bassani fu azzerata.
«Una delle forme più odiose di antisemitismo era appunto questa: lamentare che gli ebrei non fossero abbastanza come gli altri, e poi, viceversa, constatata la loro pressoché totale assimilazione all'ambiente circostante, lamentare che fossero tali e quali come gli altri, nemmeno un poco diversi dalla media comune.»
Bassani scoprì che più niente di ciò in cui credeva esisteva, ma che l’unico modo che aveva per superare questa perdita era mantenere fede a cioè che era, rinascendo attraverso la scrittura, una scrittura che consegnasse al mondo le memorie del suo mondo perduto e quindi di un nuovo romanzo italiano.
Dal libro di debutto “Una città di pianura”, pubblicato con lo pseudonimo di Giacomo Marchi, a “Storie ferraresi”, fino a “Il Giardino dei Finzi Contini” questo processo fu lungo.
Se la scelta dello pseudonimo, all’inizio, dimostra il bisogno di nascondersi e di lasciare spazio solo alla parola scritta, nelle “Storie ferraresi” Bassani diventò il cronista anonimo alla maniera di Dostoevskij , ne “Gli occhiali d’oro” e ne “Il Giardino dei Finzi Contini” invece il protagonista è lui, Giorgio Bassani. Finalmente la sua doppia diversità viene alla luce. I Finzi Contini sono il suo (doppio) alter ego, in quanto depositari della cultura ebraica, ma anche uguali a Bassani scrittore perché amanti della solitudine e dell’accettazione consapevole della propria diversità. Da qui la ricomposizione di una doppia condizione umana e di un disagio esistenziale causato dal contingente: il fascismo, ma anche dalla condizione all’interno della società letteraria italiana, dove Bassani pagava lo scotto di questa sua diversità. Potremmo definirlo un caso di invidia di classe il suo, caso che ha di molto rallentato, o forse azzerato, la possibilità di comprendere la lacerazione profondissima che il fascismo provocò nel Paese. È così Bassani mentre avanza a piccoli passi nel libro per avvicinarsi al segreto dei Finzi Contini, che è anche il segreto della sua identità, così avanza verso Micol, la sua parte femminile, per scoprire che la vita è fatta della imprevedibilità feroce del presente, e di questo lui (Micol) non si sdegna. Sa che su ogni cosa il tempo spargerà la propria coltre impalpabile e leggera.
«Era il"nostro"vizio questo: d'andata avanti con le teste sempre voltate all'indietro.»
Bassani passò grazie a questa operazione complessa, dall’osservazione ossessiva e decadente della realtà di Proust, alla pragmaticità poetica e distante di Flaubert, grazie anche alle scoperte editoriali che faceva in virtù del suo lavoro. Sua fu la scoperta di Pasternak e a lui si deve la pubblicazione del Gattopardo, rifiutato da Vittorini per Einaudi. Come a lui si devono la pubblicazione di Dylan Thomas e di Truman Capote, autore che amava e di cui apprezzava il taglio realistico e fotografico, tipico della scrittura giornalistica più che di quella narrativa, soprattutto in “A sangue freddo”. Fu anche il primo a descrivere l'omosessualità in chiave umana con “Gli occhiali d’oro” proprio perché la sua doppia diversità lo metteva, irrimediabilmente, di fronte alla difficoltà di diventare trasparente per gli altri, quando per gli strani giochi della vita si viene catapultati altrove, ma privati della propria dignità.
«Da Fadigati a venire a parlare dell'omosessualità in genere il passo era stato breve. Malnate, in materia, aveva idee molto semplici […] Per lui i pederasti erano soltanto dei "disgraziati", poveri "ossessi" dei quali non metteva conto di occuparsi che sotto il profilo della medicina o sotto quello della prevenzione sociale. Io, al contrario, sostenevo che l'amore giustifica e santifica tutto, perfino la pederastia; di più: che l'amore, quando è puro, cioè totalmente disinteressato, è sempre anormale, asociale, eccetera: proprio come l'arte - avevo aggiunto - che quando è pura, dunque inutile, dispiace a tutti i preti di tutte le religioni, compresa quella socialista.»

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