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Raffaella Carrà, la più grande coreografa italiana, nella serie su Disney Plus che la celebra

È morta Raffaella Carrà, aveva 78 anni

L'Italia non è mai uscita dalla bolla dell’unico e solo boom economico che l’abbia attraversata, quello degli Anni ‘60, l’unico  boom che abbia spalmato sogni e realtà in maniera uguale e costante, un boom che, per davvero, sembrava dare all’adesione al Piano Marshall la sua forma più compiuta e completa, e in questo boom nasce, artisticamente, Raffaella  Pelloni, discendente del Passatore, in arte Carrà.
Per questa ragione la sua morte è stata spiazzante, perché Raffaella Carrà faceva parte della coreografia delle nostre vite, come statua di carne del palco dello spettacolo, un palco oggi sempre più disadorno, e su cui si muovono, come lei, i personaggi che, in virtù  del loro essere pubblici imprimono ai tempi, in cui vivono, un passo differente.
E in che modo la soubrette più  famosa d'Italia, ma anche in Sudamerica, ha fatto tutto questo?
La signora Carrà era il frutto dell'anima cattocomunista italiana, della sua tenacia perseguita in maniera professionale, una tenacia che a lei derivava anche dal fatto di essere stata allevata da due donne: la madre e la nonna, una tenacia, sua e del paese intero, che la spingeva a perseguire, in maniera ferrea, il sogno di vivere d’arte, una cosa che comunque per i suoi tempi era problematica ma anche rivoluzionaria.
E così, con due gambe non da Kessler e i capelli neri, Raffaella Pelloni partiva dalla rossa Emilia per diventare la Carrà e approdava nel mondo che riteneva fosse suo, quello dello spettacolo. Un mondo costellato di incontri, il più importante quello con Gianni Boncompagni (compagno di vita e amico per tutta la vita) un incontro che  trasformò, a poco a poco, una ragazza, normale, di provincia, bruna, in una donna bionda capace di tenere testa a tutti, pure alla censura quando con l'ombelico scoperto, che lei diceva essere uguale a un tortellino, ballava il “Tuca Tuca” nella Rai di Ettore Bernabei insieme a Enzo Paolo Turchi.
Quel biondo che diventò la sua cifra distintiva e cromosomica, malgrado fosse finto, e quei capelli tagliati abilmente da Vergottini, un taglio che porta il suo nome, il loro agitarli, divennero il suo emblema come mai era accaduto prima in Italia con una donna di spettacolo.
Era talmente famosa la signora Carrà che chiunque al suo cospetto si intimidiva mentre gioiva di essere con lei, per quel suo essere stata capace di entrare nel pubblico e nel privato di ognuno, tanto da essere sempre e solo lei il personaggio di primo piano, su qualsiasi piano si muovesse e chiunque  incontrasse.
Ha avuto anche la sua parentesi americana e con Frank Sinatra. 
Fu un attimo, un attimo che le fece dismettere, per sempre, il nero delle chiome e la consegnò a sé stessa, e al mondo, bionda e basta.
Era però una persona discreta, una che fuori dalle scene aveva le sue abitudini e ne rivendicava la dimensione privata, così che scandali e scandaletti, a uso e consumo di chi la seguiva adorante, mai ha alimentato. 
Una volta che le luci di scena si spegnevano anche lei personaggio pubblico scompariva, ben sapendo che tutte le tracce che aveva lasciato continuavano a vagare in ogni dove, senza che lei dovesse starci dietro.
Subì anche il fascino della TV commerciale di Silvio Berlusconi, unica donna di potere nel suo settore, ieri e ancora oggi, ma durò poco.
Con gli anni il suo posto in TV si era talmente cristallizzato da essere difficile trovare per lei uno spazio reale, e invece seppe mettere su un programma in cui intervistava i personaggi più popolari in Italia e gli italiani famosi anche nel mondo.
Non furono poche le critiche che attirò su di sé, una soubrette, per quanto famosissima, poteva mai fare delle interviste?
A guardare quelle interviste, si vede quanto il suo potere seduttivo fosse così incistato in ognuno degli intervistati, da fare venire fuori spaccati più autentici e umani, come se tutti, alcuni ben più  famosi di lei, le riconoscessero una deità assoluta e totale, cedendole il passo in maniera decisa.
Paolo Sorrentino, per esempio, nell'intervista che lo vedeva protagonista, riusciva a restituire di sé un’immagine molto più vera e intima. Del resto il regista se l’era portata "appresso" ne “La Grande Bellezza”,  come colonna sonora del suo film, film su Roma e la sua eterna noia. Aveva scelto la versione di Bob Sinclair di “A far l'amore comincia  tu”,  come tormentone, a riprova dalla modernità/eterna di Raffaella Carrà e del suo essere statua, non di sale, ma capace di essere rimodellata  dallo sguardo e dalle mani dell'altro e di rimanere se stessa, come Roma.
Del resto queste contaminazioni Raffaella  Carrà le aveva sempre amate, tanto da apparire nel testo, e nel video della canzone che la riguarda, quella di Tiziano Ferro, canzone in cui il cantante rivendica il possesso e la proprietà della bionda soubrette.
Questo prova il suo essere sogno costante, desiderio assoluto di chiunque e per questo interclassista, da icona Pop quale era.
L'epilogo è stato in linea con la vita, e a Sergio Japino, compagno/amico, è toccata, ancora una volta, questa volta per sempre, la regia dello spettacolo ma l'allestimento è stato della signora Carrà. Da coreografa, quello che avrebbe voluto diventare da grande e che era diventata per davvero, trasportando in ogni dove la sua statua, statua cui imprimeva la vita con un colpo di testa del suo bellissimo, biondissimo, stilosissimo caschetto, ipergriffato, da donna da sogno dalla vita normale e da donna del suo tempo, il nostro, quello del piano Marshall. E così non deve stupire che oggi sia tornata in vita, a tre anni dalla scomparsa, sotto forma di spezzoni e di inediti nella serie streaming su Disney plus dal titolo "Raffa" con la regia di Daniele Lucchetti, e sotto la supervisione di Barbara Boncompagni, che come suo padre le è stata vicina tutta la vita, con un affetto filiale che non stupisce, e che permette al suo numeroso pubblico, ancora una volta, di vederla viva, come sempre perché gli dei non muoiono mai.
 
 

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