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"Il Metodo Fenoglio": ritratto della defunta borghesia italiana, in attesa che batta un colpo

"Il Metodo Fenoglio": ritratto della defunta borghesia italiana, in attesa che batta un colpo

Gianrico Carofiglio, ex magistrato approdato alla scrittura (che lo ha reso famoso ben oltre il suo vecchio ambito professionale) ha fatto uscire uno dei suoi personaggi dai libri, il maresciallo Pietro Fenoglio, e lo ha reso di carne attraverso una serie Tv.
Non è il primo autore a fare questa operazione, ormai queste operazioni sono all'ordine del giorno e in molti casi sono salutari, nel senso che danno ai libri, costruiti a tavolino per il pubblico, altre possibilità di vita, e spesso le serie sono meglio scritte dei libri stessi.
La ragione? I libri, a parte pochi casi, sono per la grande parte merce di consumo, un fatto non necessariamente negativo, se non fosse per l'abitudine di andare a pescare negli stereotipi, senza che però le storie e i protagonisti abbiano una preparazione sufficiente per non incorrere nel banale che fa contenti tutti, e non necessita di conoscenza pregressa né di riflessione.
Questa serie invece è tutta un'altra cosa, ed infatti non è stata un successo eclatante in termini di ascolto,l’unica misura, ormai, con cui si valutano i prodotti televisivi e cinematografici.
Eppure questa serie è lontana anni luce dalle serie/soap da cui siamo invasi, a partire dal protagonista, il maresciallo Fenoglio, interpretato da Alessio Boni, uno che per rilassarsi e per riflettere ascolta musica classica, gira per musei, e che ragiona sui casi in maniera analitica, senza perdere quel tocco umano, che nelle altre serie poliziesche e non, è soprattutto un vezzo, mai una qualità.
Un po' accade perché Carofiglio conosce benissimo il mondo che racconta, un altro po' accade perché Alessio Boni, diventato famoso presso il grande pubblico con “La meglio gioventù” di Marco Tullio Giordana, è un attore di teatro, e a teatro il tempo si misura in maniera differente dalla TV, e questo garantisce ai personaggi, interpretati da un attore che calca le scene, una profondità differente.
E poi queste storie di Carofiglio fanno pensare immediatamente a "I Racconti del Maresciallo" di Mario Soldati e anche a Vladimir Giorgio Scerbanenco (Carofiglio è stato vincitore del premio intitolato al giornalista e scrittore italiano di origine ucraina) e questo rende la serie più solida, meno macchiettistica.
E allora perché il pubblico è "lento"nel comprenderlo, apprezzandone il valore?
Perché i personaggi di questa serie sono borghesi, di quella borghesia professionale e calvinista che in Italia è defunta, da quando la gomorrizzazione della realtà è diventata l'unica misura di paragone per ogni cosa, al punto da trasformare ogni serie, ogni libro poliziesco, investigativo, in un una grande cloaca a cielo aperto, senza approdare a niente di fatto, se non all’imbarbarimento, osceno, del vivere.
Insomma questa serie riporta alla ribalta un'Italia che fu o che fa fatica a ritrovare la propria identità, quella civile e raziocinante, dove i cattivi possono anche essere brave persone, a patto che compiano un percorso di redenzione e di consapevolezza per rientrare, attraverso l’espiazione e la pena, nel mondo degli altri con tutto il loro carico umano di dolore e di solitudine.
«La verità delle persone si legge nelle sfumature», scrive Carofiglio e lo ripete il suo maresciallo, e in questa serie le sfumature contano e sono anche le basi del grande romanzo psicologico, quello in cui i russi in modo particolare eccellevano, e che anche in Italia ha avuto i suoi epigoni polizieschi, Scerbanenco e Soldati, tanto per rimanere in tema, sono stati tra questi.
«Si limitò ad aggiungere che spesso nella vita non fai quello che avresti desiderato. E che comunque ciò che desideri non è per forza quello che saresti adatto a fare. Il che, inutile dirlo, è vero», e anche qui niente di nuovo da un punto di vista letterario, ma questi passaggi pensati e logici, non scontati, sono un appiglio ulteriore per fare girare meglio la macchina televisiva.
Torniamo all'importanza di protagonisti con un'esperienza attoriale, una cosa che oggi sembra essere poco importante e invece anche nel caso de "I racconti del Maresciallo" di Soldati, i protagonisti delle serie, quella del ‘68 con la sceneggiatura e la regia dello stesso Soldati, e quella dell' 84, con la regia del figlio di Soldati, Giovanni, furono: Turi Ferro e Arnoldo Foà, due attori di teatro di primissimo piano.
E ancora, non da meno è il lavoro fatto nella serie dalla regia, da parte di Alessandro Casale, e dalla fotografia, ad opera di Simone Mogliè, che "avvolgono" la serie della stessa lentezza temporale dei libri, una lentezza necessaria per qualsiasi tipo di riflessione, accompagnando lo spettatore e il suo occhio dentro la storia, tanto da poterla seguire con la mente, per non svegliarsi con la paura di essere sfuggiti al buio.
«Uno degli aspetti sgradevoli dello svegliarsi presto, quando non c'è ancora luce, è che ci si confronta con l'angoscia. Di regola vince lei, almeno finché rimani nel letto. Se ti svegli e scopri che, per dire, sono le nove e mezza, significa che sei sfuggito ai tentacoli della notte.»
Insomma questa serie è una bella sorpresa ed è anche una novità perché ci riporta nell’alveo della tradizione, letteraria, poliziesca italiana, un'operazione riflessiva che può fare solo del bene, vista la quantità abnorme di serie mal scritte e mal recitate, e sbaglia chi paragona "Il Metodo Fenoglio" ai vari Bastardi, e via dicendo, perché le corde e gli obiettivi sono distanti e assolutamente imparagonabili, come non si può paragonare Boni a Gassman, l'uno ha un suo stile frutto di una costruzione sapiente e su misura, l'altro porta alla ribalta se stesso, la stessa fisicità e lo stesso passo del padre, da cui si è affrancato ricalibrandolo per un pubblico che non sa di non sapere.
Se un unico appunto si può fare a Boni, non alla serie nel suo insieme, è quello di eccedere con la tintura per capelli, che sotto le luci vira troppo nel rosso, per il resto "Il Metodo Fenoglio" sembra essere l’unico poliziesco italiano di un certo spessore (umano e culturale) e non è poco, in attesa che la borghesia italiana, quella davvero intelligente e produttiva, batta un colpo, se mai anche rivoluzionario.
«Il confine che separa i matti dai normali ci sembra netto, consistente, difficile da valicare. Invece è sottilissimo e in alcuni punti – in alcuni momenti – sfuma senza che ce ne accorgiamo. Ci troviamo nel territorio dei pazzi senza capire com'è successo – e del resto i pazzi lo sanno di essere da quelle parti?»
(Gianrico Carofiglio - La fredda estate)

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