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Il giallo di Potenza 30 anni dopo

In uscita il libro inchiesta che riapre l'ultimo segmento del caso Claps e punta l'indice su chi ha aiutato Restivo

Gli autori: «Ci sono stati depistaggi anche molto dopo il ritrovamento del 17 marzo e che ancora nessuno conosce, segno che c'è chi teme ancora qualcosa»

In uscita il libro inchiesta che riapre l'ultimo segmento del caso Claps e punta l'indice su chi ha aiutato Restivo

Fabio Amendolara e Fabrizio Di Vito

Dopo 30 anni, indagini di due Procure e parecchi avvicendamenti negli uffici investigativi due giornalisti, Fabio Amendolara e Fabrizio Di Vito, sono riusciti a tirare fuori decine di novità sull'omicidio di Elisa Claps e sul suo assassino Danilo Restivo.  Indagine nell'abisso della chiesa della Trinità (edizioni EdiMavi) è un libro-inchiesta di circa 200 pagine grazie al quale è possibile farsi un'idea precisa su molti avvenimenti che risultavano finora inspiegabili e tra qualche giorno sarà in libreria. 


Da cosa siete partiti?

«I faldoni erano molti e abbiamo cominciato a rileggere tutto dal primo documento, ovvero dalla segnalazione in questura che fece il papà di Elisa il 12 settembre del 1993. Degli atti d'indagine abbiamo verificato anche ciò che appariva scontato. Poi abbiamo provato a contestualizzare informative, decreti e veline calandole nel contesto in cui venivano scritte. Abbiamo analizzato ogni profilo: protagonisti, indagati, archiviati, investigatori, inquirenti. Abbiamo ricontrollato l'elenco, le descrizioni e le fotografie di tutti i reperti. Tutto è stato incrociato con fonti aperte e non. È stato un lavoro di ricerca e di inchiesta molto duro che, però, alla fine ci ha resi soddisfatti».


È un caso che andiate in libreria a ridosso della fiction Rai?

«In realtà eravamo già pronti per il 12 settembre, ma abbiamo preferito lasciare il campo agli altri eventi. Abbiamo capito che era il momento delle emozioni e noi, invece, abbiamo ricostruito fatti e avvenimenti che dimostrano quanto il male si sia impossessato di questa storia».


Da cronisti avete seguito e raccontato il caso, cosa vi era sfuggito e perché?

«La velocità della cronaca spesso non permette di rileggere decine di volte ogni singola riga, di incrociare le fonti, di ricercare negli atti e tra le note. Ovviamente qualcosa sfugge, come è sfuggita a chi ha indagato. Molti punti oscuri ora ci sono sembrati facilmente spiegabili. Dopo il ritrovamento dei resti nel sottotetto, per esempio, c'erano decine di questioni che sembravano dei rebus e che invece con tutto il materiale a disposizione sono ricostruibili facilmente».


Nella sinossi spiegate che avete usato gli strumenti del giornalismo investigativo. Quali?

«Abbiamo analizzato i documenti d'indagine, abbiamo incrociato i contenuti con fonti aperte, con fonti confidenziali e con vecchie registrazioni audio e video raccolte nel corso degli anni. Possiamo affermare che anche tra gli investigatori più di qualcuno ha cambiato versione, anche oggi. A ogni domanda che saltava fuori abbiamo cercato di dare una risposta. Siamo certi di essere riusciti anche a smentire gran parte delle chiacchiere che da anni circolano in città su questo caso».


Perché affermate di essere riusciti a consegnare al lettore un focus preciso sull'esatto ruolo svolto dai protagonisti? Non era già chiaro?

«Non tutto quello che in un primo momento appariva in un certo modo rispecchia la realtà. A magistrati, giudici, investigatori, giornalisti, testimoni e indagati spesso sono stati affibbiati frettolosamente dei ruoli che non abbiamo riscontrato. Ribaltiamo un po' di cose, insomma, ristabilendo una verità che era già negli atti giudiziari ma che era rimasta nascosta. In alcuni casi sbrogliamo anche alcune teorie del complotto che oggi sembrano avere un sapore completamente diverso».


Sul ruolo di don Mimì Sabia, per esempio, cosa viene fuori?

«Diamo gli strumenti ai lettori per farsi un'idea».


La Chiesa come ne esce?

«Abbiamo usato il bisturi con tutte le varie teorie, anche con quelle contenute nelle sentenze».


E chi ha indagato?

«Abbiamo finalmente capito perché sono stati fatti certi errori, anche grossolani».


Ci sono delle giustificazioni?

«Quello che è stato commesso è ingiustificabile, ma c'è una spiegazione».

Risalite anche a chi è entrato nel sottotetto prima del 17 marzo 2010?

«Oltre a don Wagno che ha ammesso di esserci stato prima e alle signore delle pulizie sulle quali c'è una sentenza peraltro controversa, abbiamo messo in fila molti personaggi che sono stati toccati solo di striscio dalle indagini e rimesso in ordine molti avvenimenti che ancora oggi vengono presentati come ingarbugliati. Inoltre ci sono stati dei depistaggi anche molto dopo il ritrovamento del 17 marzo e che ancora nessuno conosce».


Questo che vuol dire?

«Che c'è ancora chi teme qualcosa. Chi ha aiutato Danilo Restivo a occultare il cadavere è rimasto nell'ombra. Noi non facciamo gli inquirenti che sentono di avere le mani legate perché il reato di occultamento di cadavere è prescritto. La verità non si prescrive mai. Per questo oggi è importante concentrarsi su chi ha collaborato a rendere questa vicenda il più ingarbugliata possibile. Ci è cascato chiunque e spesso ci si è fatti orientare da chi aveva un interesse a distogliere l'attenzione dal sottotetto che, peraltro, ancora sforna materiale su cui lavorare. È uscito fuori un dettaglio veramente clamoroso, molto più del bottone rosso».

In conclusione, qualche dubbio vi è comunque rimasto? Oppure no?

«Ci sono ancora delle domande alle quali rispondere. Ma  prima di lasciare qualcosa in sospeso abbiamo riportato tutto ciò che è possibile ricostruire di ogni episodio, così da mettere comunque dei punti fermi. C'erano degli elementi che erano sfuggiti a tutti. E anche i processi non sono stati assolutamente sufficienti».

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