IL MATTINO
Cultura
10.10.2023 - 11:22
Marcel Proust a 101 anni dalla morte continua ad essere necessario, in particolare per la nostra epoca, epoca in cui avere trasformato la scrittura in un mestiere, dopo averne snaturato la complessa struttura, grida vendetta al di là di tutto.
Questo mestiere, quello di scrivere, Proust lo fa cadere dall'alto della sua proverbiale indolenza, indolenza che della scrittura è parente stretta perché è una caratteristica peculiare della narrazione stessa, per quel suo allungare il brodo primordiale della vita trasformando, smussando, abbellendo ogni cosa, dopo averla setacciata.
Una caratteristica questa che permette di attraversare le pagine di Proust alla ricerca del tempo perduto, e da perdere, e ce lo restituisce in termini di senso, così che nel mentre ci si perde, ci si confonde, ci si ingarbuglia, si sprofonda nei ricordi, quelli più privati e tenaci, e per ciò stesso inconfessabili, e ci si ritrova, senza dovere fare tutto questo da sé o con l'aiuto della psicanalisi.
Il gomitolo del vivere da dipanare ce lo restituisce tutto Proust, con il bandolo bene in vista.
Un pregio questo dei libri di valore e dei loro autori.
Il pregio più importante.
E già solo questo rende Proust insostituibile e modernissimo, in quanto precursore di questo utilizzo dell’autobiografia, del memoir, per arrivare alla conoscenza del mondo, in maniera psicoanalitica, non parziale o semplicemente ombelicale.
Il tempo perduto in Proust si “concretizza” attraverso un numero cospicuo di pagine, pagine densissime, tali che anche volendole leggere a mo di breviario, di tempo per vivere ancora ne resta, impregnate come sono le pagine di tempo per sé e non di alienazione pura e semplice, come oggi accade talvolta con taluni autori.
L’indolenza come cifra stilistica lo porta a indulgere, ad afferrare tutto il concentrato e l'essenza stessa delle cose, e ce la restituisce nuova questa essenza, come se davanti alle sue descrizioni, i sensi dei suoi lettori prendessero a percepire, e ad afferrare, il mondo per la prima volta, e da capo.
Questa indolenza, che è perdita di sé, trova nella madeleine, e nel suo perenne e indelebile ricordo, la sua forma più compiuta.
La madeleine dilata i tempi della scrittura, e dimostra che la scrittura per espandersi necessita di vita, di osservazione, di ascolto, tutto quello che la letteratura contemporanea spesso non è, ed è per questo che Proust continua a essere onnipresente, ed è per questo che tutto ciò che da lui è distante smette di essere Letteratura ma semplice osservazione da tinello.
Se c’è poi un autore in cui l'introspezione e il passato sono il percorso necessario da fare, per arrivare dritti dritti al futuro, questo è proprio lui.
È un percorso il suo di cui nel lettore rimane percezione e consapevolezza alla fine, quando delle sue pagine resta l’eco della parola scritta, e il libro torna a essere inanimato perché chiuso.
È anche Proust un autore, in virtù sempre di questa sua indolenza, che procede per accumulo quando scrive, per quanto i suoi manoscritti siano chiari, ma continuamente rimaneggiati a riprova di un'attenzione e di un controllo costanti, espressione di una professionalità anche questa difficile da essere percepita, perché lo sguardo dell’autore spesso tende a non sgrossare il testo di parole, lasciando poi a lettori altri, talvolta poco accorti, la possibilità di aggiustare testi che più che l’espressione dell’autore, e del suo vissuto, sono semplici plot, totalmente privi di originalità, assolutamente assimilabili e assimilati dal mercato, opere abortite in pratica.
Proprio perché Proust ben conosce le regole della scrittura, scrittura che procede solo e sempre per accumulo e alleggerimento, è evidente come lui conosca la vita, vita che è un coagulo pulsante e inglobante, tale da stratificate fluidi più che corpi, per quella scrittura dei sensi altra sua peculiarità.
Per questa ragione in Proust il desiderio, il suo essere motore incessante, è onnipresente e totalmente forte che anche l'amore in Proust è amore del e per il corpo, legato com'è il corpo al desiderio, corpo in cui la componente omosessuale, maschile e femminile, è l’ossessione, ossessione che in quanto ripetitività deve essere nascosta attraverso il velo del desiderio, al punto che il piacere, come possibilità che il desiderio dà a sé stesso per esprimersi, diventa pura bellezza. Così la sessualità dei suoi personaggi è scarsamente interessante, proprio perché il desiderio si forma al di là del genere di appartenenza, ed è un desiderio uguale, dove la diversità è data dalla rottura dello schema maschile/femminile che in Proust è meramente procreativo, e per questo non desiderabile.
Questo ulteriore tassello, un tassello di difficile collocazione fuori dal grande puzzle del regno di Proust, lo rende modernissimo e contribuisce non poco a questa sua fama imperitura.
I sensi tutti, dunque, e il loro essere mappa necessaria per la scoperta del mondo e quindi di sé, rimandano ancora una volta alla completezza e alla complessità dell'opera di Proust, a quel suo girare in tondo a qualsiasi emozione e percezione, percorso questo che gli consente di potere dare a ciò che fa la capacità di radicarsi in maniera pervicace.
E quindi che ancora oggi si ricordi, si discuta di Proust e della polvere che è riuscito pure a rendere interessante, non può né deve stupire, tanto più che ogni suo lettore sarà libero di aggrapparsi a una tenda piuttosto che a uno stipite, perché il mondo di Proust è inclusivo, onnivoro, mesmerizzante.
«Basta che un rumore, un odore, già udito o respirato un'altra volta, siano di nuovo reali senza essere attuali, ideali senza essere astratti, perché subito l'essenza permanente e ordinariamente nascosta delle cose venga liberata, e perché il nostro vero "IO", che talvolta sembrava morto, ma che non lo era interamente, si desti, si animi, ricevendo il celeste nutrimento che gli viene offerto.»
Marcel Proust “Dalla parte di Swann” o “La Strada di Swann”, primo volume de “Alla ricerca del tempo perduto”, Collana Meridiani, Mondadori editore.
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