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Riletture estive: "Romanzo Criminale"

Riletture estive: "Romanzo Criminale"

Scrivere di "Romanzo Criminale" di Giancarlo De Cataldo a ventuno anni dalla sua uscita, dopo il film e la serie televisiva, potrebbe sembrare singolare, eppure, dopo tutto questo tempo, e ben conoscendo la trama del libro e la storia italiana (intrecciati con quella della banda più anomala nella storia malavitosa del paese) la seduzione di questo testo è ancora intatta, del resto sono quaranta anni che il caso Orlandi è alla ribalta, senza che si giunga a risolverlo, e con esso la storia della banda e di Roma.
Roma è una città complicata, chiusa, una città dove il potere e le sue implicazioni fanno da sfondo alla storia. Qualsiasi autore che conosca l'animo sarcastico, cinico, talvolta greve della città, difficilmente ne potrebbe ricostruire la struttura lessicale e mentale attraverso un racconto, come invece ha fatto De Cataldo. A leggerlo adesso, il vero grande merito di De Cataldo è proprio la ricostruzione linguistica, ricostruzione che viene prima di tutti gli altri elementi letterari, al punto da rendere questo libro la traccia scritta dei nostri tempi. Questo perché De Cataldo utilizza il romano, come lingua pensata e agita, all'interno della lingua italiana. Un'operazione di travaso necessaria la sua, vista la composizione differente di regioni e di dialetti nella città, composizione che rende gli italiani bilingue dalla nascita, e stranieri per questo tra loro. Un dato che la letteratura da tempo non sottolineava. Mentre si legge il libro ci si ritrova ad immaginare luoghi, situazioni, persone, da perfetti romani, così da ri/vivere le emozioni a tinte tragiche, insite nella natura stessa della città eterna. Questo spiega anche l'anomalia della banda della Magliana, il cui sogno era quello di volere Roma tutta per sé, non semplicemente per una mera acquisizione di potere e di danaro, ma per una cosa ben più complessa e ardua: la possessione di Roma stessa. Un sogno eterno, e che è molto di più di un semplice bi/sogno di riscatto sociale, ma che ha a che fare con l'identità della città e del il libro stesso, corpo letterario anch’esso da possedere. Perché Roma, come la letteratura, è una città immaginifica, assolutamente incapace di farsi cogliere da chi non ne afferra l'anima antica e pragmatica con lucidità tattica. Da De Cataldo in poi, la costruzione delle storie su Roma, sono state una continua rielaborazione della sua opera, sia per esigenze editoriali (Einaudi Stile Libero dall'impianto del libro ha tratto molto altro) sia per ragioni squisitamente letterarie. Nel libro non esiste intento moralistico, ma la descrizione di un mondo contrapposto, perfettamente simmetrico e uguale al mondo della legalità degli altri. Un mondo condito dalla noia, dalla mancanza di senso, dal consumismo, consumismo che serve a sanare il gap culturale, tutto raccontato allo stesso modo in cui, da secoli, i borghesi descrivono e narrano la loro vita e quella degli altri, solo che in questo caso è il crimine la linea lungo cui ogni cosa si rivela e si compie alla luce del sole. Non c'è nessuna falla nella scrittura di questo libro e nessuna finzione, e questo permette ancora di più al libro di tenere e di diventare letteratura a tutti gli effetti. Dal momento della sua nascita, questo libro ha dato vita ad un filone, pur mantenendone il primato. Questo perché i personaggi del libro hanno profondità di azione e autonomia mentale, all'interno del grande gioco del mondo del male, e la simmetria della parola scritta e la simmetria della storia procedono di pari passo. Nessuno più, dopo averlo letto, potrà ragionare in termini morali, anche per questo tante barriere etiche sono crollate dopo quella banda. Tutte cose che il libro evidenzia. Allo stesso modo, nessuno potrà pensare alle prostitute per scelta in maniera riduttiva, dopo aver incontrato tra le pagine del libro Patrizia o potrà pensare alla droga come un fatto marginale e distante da sé. E così è ben più che logico che la Roma di Aurelio Picca con "Arsenale di Roma distrutta", ma anche "L'uomo giusto" di Elena Stancanelli, due libri tra i tanti, siano il naturale prosieguo del libro di De Cataldo, libro che affonda nella tradizione letteraria e cinematografica italiana. E se da una parte, quando uscì "Romanzo criminale", il riferimento cinematografico, più facile e felice, sembrava essere "C'era una volta in America" di Sergio Leone, ci sono stati poi il film e le serie tratte dal libro, e Paolo Sorrentino e "La Grande bellezza" ad amplificarne la portata, incasellandolo perfettamente nella realtà, facendo saltare i parametri di valutazione (non possiamo parlare in questo caso di letteratura di genere) proprio per la rielaborazione che il libro ha prodotto a livello culturale. Del resto pensare al crimine solo come l'espressione di una parte malata della realtà è inesatto. Se così fosse tanta letteratura e tanti personaggi letterari dovrebbero essere in un solo colpo abortiti per questa ragione. I cattivi sono sempre più interessanti (gli autori russi prima di tutti ce lo hanno insegnato) e lo studio psicologico che si ricava da costoro consente di approfondire il quotidiano in maniera più sottile e umana. I personaggi di De Cataldo aspirano ad elevarsi dalla materia, per quanto possa sembrare assurdo, mentre vivono, parlano e si muovono nella stessa Roma pagana, coatta e padrona del mondo di sempre, nella cui storia riconosciamo la grandezza, ma anche la violenza e la rapina come dati inalienabili in quanto connaturati alla natura umana. Sia i criminali sia gli scrittori mirano all'assoluto, e per questo vanno incontro e cercano come destino il fallimento ovvero la morte. La ragione per cui tutti arrivano a Roma per possederla. La ragione per cui la politica e il malaffare a Roma diventano sovrastruttura e cornice, mentre Roma osserva da indiscussa capitale d'Italia, come De Cataldo continua ancora a raccontarci.

«Voi non siete criminali, ma autentici soldati della Rivoluzione Nazionale! Voi rubate e uccidete in vista di un fine più elevato! Le vostre vite rappresentano il più spietato atto d'accusa contro il degenere flaccidume dell'orda rossa... che altra scelta ha, al giorno d'oggi, un giovane d'ingegno, un talento forgiato nella Tradizione, se non quella di una quotidiana, consapevole pratica del Male?»

Giancarlo De Cataldo - Romanzo Criminale, Einaudi
(Il Professore p.151)

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