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La lettera

Covid, «due pesi e due misure». Accorata lettera al Mattino di un Oss dell'Ospedale San Carlo di Potenza

«Non vogliamo sentirci sconfitti e amiamo il nostro lavoro. Chiediamo alla politica di essere premiati tutti insieme»

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Si chiamava Lucia, è stata con noi due mesi ed è venuta a mancare il giorno dopo che
il suo unico figlio, dopo aver chiesto di lei quasi tutti i giorni, ha poggiato una scala
sotto alla finestra dove la sua mamma era ricoverata e, desiderando vederla dal vivo,
si è arrampicato e l’ha salutata per l’ultima volta.
Si chiamava Antonio, era un bravo pasticcere e dopo aver provato a togliere il casco
per la seconda volta, ha provato a salutare la moglie al telefono, la quale ci ha
confessato di avergli lasciato un breve biglietto di incoraggiamento fra la biancheria.
Antonio era troppo debole per leggere e l’ho fatto io per lui, ma non ce l’ho fatta a
finire. Ho iniziato a piangere perché il biglietto terminava con le parole più belle del
mondo: “Ti Voglio Bene”. Antonio è venuto a mancare il giorno dopo in
rianimazione.
È stato il più giovane a morire in Basilicata, era lì da noi, è arrivato già troppo tardi
per essere salvato. Il covid era ancora troppo forte e troppo sconosciuto per noi. È
morto con il casco, che non riusciva, però, ad appagare la sua fame d’aria.
Erano ricoverati insieme, marito e moglie, lei tenace e determinata a vincere, lui più
debole e più colpito; in tempi diversi sono riusciti a tornare a casa.
Ho cinque figli, raccontava, e la foto della sua splendida famiglia sul comodino lo ha
aiutato a vincere la paura di morire.
Spaventati e senza alcuna conoscenza del mostro che andavamo ad affrontare,
abbiamo accettato la chiamata e siamo entrati in ospedale. Era il 2020.
Il terrore di non riuscire a bardarsi bene, il terrore di contaminarsi ad ogni turno ci ha
accompagnati ogni giorno. Dormivamo lontani dai nostri familiari in casa, perché il
mostro poteva impossessarsi anche di loro e poteva portarceli via, e mai ci saremmo
perdonati la colpa di averlo portato da loro.
Un bagno di sudore era il pane quotidiano, così come il senso di svenimento avuto
più volte per mancanza d’aria, a causa delle tre mascherine e una visiera, gli occhiali,
la cuffia, la tuta e i calzari; mentre le docce di candeggina vaporizzata erano il “check
out” dalla zona sporca.
Di noi potevano vedere gli occhi, potevano riconoscere la voce, ma dicevano che gli
sembravamo comunque tutti uguali. Ogni volta che uno di loro, e capitava anche più
volte al giorno, non ce la faceva era per noi un morire con loro e una sconfitta forte
da sopportare!
Oggi per fortuna, benché i reparti Covid esistano ancora, grazie ai vaccini si lavora
con abbigliamento più leggero e con minore timore della morte.
Oggi la maggior parte di noi oss, ma anche infermieri, è stata ridistribuita in reparti
diversi e, a causa di problemi che noi non comprendiamo, alcuni di noi non potranno
continuare a fare il proprio lavoro con passione, amore e dedizione come vorrebbe,
tutto questo perché se una buona parte è stata assunta e quindi stabilizzata, grazie a quella legge                                         che altro non voleva fare che premiare gli angeli che vi hanno protetti in
momenti terribili per il pianeta, altri saranno invece mandati a casa. Trattati con due
pesi e due misure, dimenticando che le paure, gli incoraggiamenti a non arrendersi
facendo squadra, i segni sul viso per la bardatura, gli sguardi terrorizzati, le cose non
dette e taciute per non consumare aria nella tuta, le abbiamo condivise tutti insieme,
di notte e di giorno e molto spesso anche con doppi turni.
Non vogliamo sentirci sconfitti e amiamo il nostro lavoro. Chiediamo alla politica di
essere premiati tutti insieme, anche al San Carlo di Potenza e in Basilicata, affinché si
possa dire che anche per noi, come per tutti gli altri sanitari precari del Covid in
Italia, ci sia stato effettivamente un “premio” per il nostro sacrificio e che possa
essere d’esempio alle generazioni future. Speriamo che il tutto si possa chiudere
positivamente per ognuno di noi, con successo e condivisione di un percorso iniziato
e concluso insieme.
Tutto questo per un inno alla vita, alla giustizia e al lavoro.

un Oss dell'Ospedale San Carlo di Potenza

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