IL MATTINO
L'intervista
30.05.2023 - 16:37
Giusto Puri Purini
Giusto Puri Purini è una persona con una vita appesa a un filo rosso, un filo rosso che lui ha dipanato e dipana con un'attenzione millimetrica, tanto da riuscire a non ingarbugliarlo, perché la logica con cui ha dipanato il suo filo rosso è la logica con cui la sua famiglia ha costruito, per gran parte, il nostro mondo, quello delle relazioni e quello della cultura, in maniera intelligente, umana.
La prima domanda è sua
“Lei vive a Ischia?”
Si, ci vivo da un po', è stata una scelta.
E lei la conosce?
A Ischia ci sono stato a lungo, è un posto che mi piace perché è un luogo dedicato al benessere degli altri, e questo è sempre un vantaggio per qualsiasi luogo, e a poi a Ischia mi sono dedicato a restituire un volto più confortevole al San Montano, per esempio, tra gli altri luoghi di benessere di cui mi sono occupato, e mi ci sono trovato bene.
Architetto, adesso lei vive in Salento
Sono in Salento da sette anni con mia moglie, in una casa antica nella quale ho trasferito la mia idea di abitazione, e cioè di luogo aperto in cui tutto si incontra. Roma era diventata troppo caotica e distante, nel Salento, e in questa casa, c’è ciò di cui ho bisogno. Per esempio in questi giorni di indecisione climatica, la sera riscaldiamo la casa con l'impianto di riscaldamento a pavimento. Un modo anche questo di non deturpare lo spazio con sovrastrutture difficili da fare armonizzare.
Partiamo da Saint Tropez
La mia è una famiglia di diplomatici, sono stato abituato a girare il mondo, sono un privilegiato, una cosa che mi è stata sempre chiara e che mi è servita da stimolo.
Quando parliamo di Saint Tropez stiamo parlando degli anni ’68, ‘69 ,’70, anni di profonda trasformazione sociale da una parte, e dall'altra parte anni di leggerezza, a Roma eravamo in piena Dolce Vita.
È stato bello vivere tutte e due le realtà.
Durante la settimana frequentavo architettura, collaboravo con Roberto Rossellini, e nel fine settimana andavo a Saint Tropez. Frequentavo il gruppo degli italiani, “les italiens", come amavano chiamarli lì. Il gruppo formato da Gigi Rizzi, Franco Rapetti, Rodolfo Parisi, Beppe Piroddi. Sono stati anni irripetibili, come lo sono stati quelli della scoperta dei Paesi Arabi dell’area mediterranea e oltre, dove tutto era sproporzionato e dove sono nate nuove consapevolezze, mentre mi si rivelava l'intreccio, a suo modo lineare e semplice, della connessione che c’è tra i mondi, tutti i mondi.
Dopo queste prime esperienze giovanili cosa accadde?
Accadde che scoprii l'America. Mio fratello era negli Stati Uniti come segretario d'Ambasciata a Washington e così partii alla volta dell'America, l'America del Vietnam e delle proteste studentesche. Tutto quello che accadeva in Europa nasceva in America, e decisi che dovevo girare il paese in pullman, il mitico greyhound, per meglio comprendere la realtà. Così feci e arrivai a New Orleans. Entrai in una libreria e trovai dei libri con le foto dei monumenti e dell'architettura italiana. In pratica lì c'erano stati i nipoti del Palladio, autori della Nouvelle Orleans, dove l’architettura si chiama: “This is an example of an Italianate architetture”. E poi ci fu la scoperta della musica, del jazz, del rock, la musica dal vivo con i suoi grandi interpreti e la sensazione che il mondo fosse davvero ampio e uno. Per questo entrai nel gruppo dei “Vivai del Sud” , grazie alla scoperta dell’origine della musica, e della città integra, come lo era allora New Orleans, grazie a Roberto Rossellini che mi fece conoscere il talentuosissimo Maurizio Mariani. Poi continuai con il greyhound verso la California. Volevo andare a Berkeley, dove in quegli anni insegnavano nove premi Nobel. Berkeley era la sede di uno dei più importanti movimenti culturali del mondo. Il lavoro per Rossellini fu il mio lasciapassare per entrare all'Università culla della politica e delle idee più rivoluzionarie del momento. Erano tempi diversi, tutto era possibile e a portata di mano, anche la rivoluzione.
Come era Roberto Rossellini?
Roberto mi chiamava Giustino e mi cercava in tutte le ore possibili e impossibili.
Una sera mi telefonò a mezzanotte e mi disse: “Puoi andare a Madrid a trovare un’Atene? Mi serve per il Socrate”.
Dopo il primo attimo di disperazione partimmo e trovammo a poca distanza da Madrid una città di pietra, un posto bellissimo. Solo che allora dovevi fare tutto da te, il cinema era ancora un'attività artigianale. Non dovevi avere solo una preparazione tecnica per lavorare nel mondo della celluloide, ma dovevi avere anche una grande abilità manuale. Per le scene utilizzammo specchi fatti con grandi cristalli, tali che inquadrassero il campo di ripresa. Negli specchi qua e là si inseriva riflesso il modello del Partenone, dietro la macchina da presa, per girare l'insieme. Roberto era un vulcano, e poi ha prodotto oltre ai film anche i documentari per la televisione, una sessantina. La sua era una ricerca storica ampia, diffusa. Con lui ho imparato che non serve solo sapere ma che è necessario anche scavare, cercare.
Torniamo ai “Vivai del Sud”
La seconda fase di “Vivai del Sud” è importante perché c’è la scoperta del mondo islamico, un mondo che è proiettato verso l'Asia. Lì poi accade anche un'altra cosa, e cioè mi accade di scoprire in quel mondo quanto sia importante per comprenderlo, e per comprendere se stessi, la componente trascendente, componente che è parte fondante del razionale, ma che noi in Occidente tendiamo a dimenticare. In questo lavoro di ricomposizione un ruolo importante ha avuto mia moglie, che, grazie al fatto di essere per parte russa, ha una visione del trascendente molto più forte di me, e lo studio e l'appoggio al popolo tibetano.
Grazie a tutto questo è nata la mostra sulla Russia alle Scuderie del Quirinale. Una mostra nata dal fatto che ho pensato che i due paesi, apparentemente distanti come rette parallele, riuscissero a capirsi e a confrontarsi come accade tra genitori e figli, e come accadde allora tra noi e la direttrice del Pushkin, la leggendaria e brezneviana Irina Antonova, la zarina dei Musei Russi, con cui lavorammo benissimo.
Del resto San Pietroburgo è stata fatta dagli italiani.
Il solito suo filo rosso architetto
Si, e questa cosa del filo rosso la dico sempre anch'io, mi fa piacere che lei lo abbia rilevato. Ho percorso tutta la vita una strada che mi ha portato a creare connessioni, e a comprendere anche il senso del mio essere italiano, attraverso il mio lavoro. Un fatto anche strano per certi versi, mio padre era cittadino dell' Impero Austroungarico, ma ho sempre cercato di mantenere una dignità curiosa, mentre vivevo, e questo mio atteggiamento mi ha permesso di spostarmi dappertutto, sempre cercando forme d'integrazione e di connessione. Dopo avere portato la Russia in Italia ho portato l'Italia in India, Leonardo per la precisione. In questo mi ha aiutato Gil Rossellini, il figlio adottivo di Roberto. Vedere Leonardo lì fu una grandissima emozione, e in India Leonardo ebbe un enorme successo. Era la fine degli anni ‘80, l'India di allora non era quella di oggi.
A quale altro progetto è maggiormente legato?
Alla ristrutturazione del Ministero degli Esteri, e alla creazione della “Collezione di Arte Contemporanea Italiana” alla Farnesina, voluta da Umberto Vattani che la ideò. La Collezione Farnesina è una collezione di 180 opere, opere date in comodato d’uso da artisti e collezionisti e da esporre in occasioni di incontri diplomatici o al seguito di delegazioni all’estero. I Vattani hanno fatto tantissimo per la cultura in Italia, e la Farnesina non aveva avuto nessuna ristrutturazione dai tempi di Fanfani
Fanfani è stato l’unico ministro ad essersi davvero occupato di politica estera in Italia
È vero ed è stato anche l’unico a essersi preoccupato di edilizia popolare, poi siamo finiti al Corviale, per una malintesa interpretazione de Le Corbusier, che aveva in mente Algeri e la sua casbah, ma che noi non abbiamo saputo interpretare.
E di Roma cosa mi dice?
La Roma che ho conosciuto da ragazzo era la Roma non solo di Via Veneto ma anche la Roma di Piazza del Popolo con i suoi pittori: Schifano, Festa, Angeli, Ceroli, Rotella, Mulas e le sue foto. Tutto finito, poi se si pensa alle foto, e a come oggi un'espressione artistica cosi complessa qual è la fotografia sia cosi banalizzata, c’è poco da gioire. Quando ho capito che a Roma non mi interessava più vivere, sarei dovuto annegare nel mio ego e questo proprio mi interessava, ho ripreso metaforicamente il greyhound e sono andato a vivere in Salento.
In pratica il greyhound è la sua navicella spaziale?
Direi proprio di sì, mi è andata sempre bene ogni volta che l’ho preso.
Vuole ringraziare qualcuno per la vita che ha a vissuto fin qui?
Se c’è qualcuno che devo e voglio ringraziare sono mio padre, mia madre e Tamara, mia moglie, loro mi hanno sempre tenuto fuori da una certa amalgama, hanno sempre evitato che vivessi troppo esposto verso l'esterno, almeno nel privato, e io ho sempre trovato sollievo nell’arte, nella natura, tutte cose che hanno dato alla mia vita una dimensione altra, che poi è la mia. Pensi alle meravigliose volte a stella delle case salentine, all'aria che vi si respira, all'antichità che rappresenta “Finisterre”. Ecco ho cercato il grande respiro del mondo in ogni luogo in cui sono stato, e l'ho sempre trovato.
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