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Helmut Berger, una lunghissima agonia

Helmut Berger, una lunghissima agonia

La vita di Helmut Berger non esiste senza quella di Luchino Visconti e se si dà un'occhiata sommaria e ai lanci d'agenzia che riportano la notizia della sua morte, e ai coccodrilli susseguenti, niente certifica il contrario.

È come se fossero morti insieme, anche se nel caso di Helmut Berger il trapasso è avvenuto adesso, e non nel 1976, come è accaduto a Luchino Visconti.
Helmut Berger è stato l'ossessione più potente di Luchino Visconti, un'ossessione che lui ha reso cinematografica, ma che ha continuato a fare apparire nelle sue altre opere anche quando Helmut Berger non c'era.
Un fatto talmente potente che ha condizionato la vita stessa dell'attore austriaco, che dopo la morte di Luchino Visconti non è riuscito più ad avere un'altra vita per sé, perché non è riuscito più ad andare oltre quel rapporto, un fatto che ha una sua ragione, ed è una ragione che risiede proprio nella possessione di Luchino Visconti per lui.
La loro fu una storia estrema di edonismo e di bellezza, una storia d'amore alla maniera di Visconti, un rapporto fortissimo al punto da avere svuotato completamente la vita di Berger.
Eppure all'inizio Berger non amava che la loro storia fosse pubblica, tanto più che Visconti era incline a sedurre e a farsi sedurre dagli attori che sceglieva per i suoi film.
Non a caso su i set dei suoi film aveva l'abitudine di fare regali. I regali erano tutti differenti, così da scatenare gelosie, odi, sentimenti questi che poi gli servivano per le sue messe in scena cinematografiche e teatrali.
Il meglio lo traeva da ciò , una tecnica che utilizzava anche con Berger, solo che quella era la loro vita, non un set cinematografico.
Helmut Steinberger, nacque a Bad Ischl, in Austria il 29 maggio 1944, dove visse fino a 18 anni per poi andare a Londra, e infine in Italia. In Italia frequentò dei corsi di teatro e a Roma iniziò a lavorare come modello. L'incontro con Visconti avvenne sul set di “Vaghe stelle dell’Orsa” e fu un incontro a vita. Nel ‘67 Berger debuttò in “La strega bruciata viva”, un episodio delle “Streghe”, un film collettivo prodotto da Dino De Laurentiis, film collettivo che vede presente in tutti i cinque episodi Silvana Mangano. Oltre a Visconti, gli altri registi presenti erano Bolognini, De Sica, Pasolini, Rossi. Nel ’68 Berger ebbe la sua prima parte come protagonista ne “I giovani tigri” di Antonio Leonviola, un film prodotto da Marina Cicogna con le musiche di Piero Piccioni.
Il successo quello vero per Berger arrivò con il personaggio di Martin von Essenbeck, nella “Caduta degli dei” e proseguì con “Il giardino dei Finzi Contini” di De Sica, film che vinse l’Oscar nel 70, a seguire “Gruppo di famiglia in un interno”, un altro Visconti, accanto a Lancaster, un attore totem di Visconti. Sempre in quegli anni partecipò a la “Colonna infame” di Nelo Risi a “Salon Kitty” di Tinto Brass, del ’75, e alla “Romantica donna inglese” di Losey.
Questo a cinema, nel privato un posto particolare nella vita di Helmut Berger in quegli anni lo occuperà la Colombia, al punto da essere rimasto un intimo e privatissimo suo punto di riferimento quando Visconti morì.
Luchino Visconti a Ischia tra Forio e Lacco Ameno, nel bosco di Zaro, aveva acquistato dal barone Fassini una villa bianca, villa bianca che chiamerà “La Colombaia”. Visconti frequentava Ischia dal ‘45 ma ad un certo punto desiderò una casa tutta sua, e si innamorò della villa bianca di Zaro, villa bianca con due dépandances, con un viale circondato da un parco di lecci, di eucalipti e di pini. Se ne era talmente innamorato da volerla a tutti i costi, al punto di farsi vendere la villa dal barone per sfinimento.
Giorgio Pes ristrutturò la villa, una villa sospesa tra terra e mare, e che era un posto segreto allora e ancora di più oggi, un posto esclusivo ma chiuso a tutto e a tutti, come Visconti stesso.
Visconti spenderà cifre astronomiche per la ristrutturazione, in maniera particolare per i pavimenti, pavimenti che provenivano da antiche ville campane in demolizione.
Più di venti anni fa visitai "La Colombaia", una visita privata, era chiusa, con i custodi della villa che facevano da Cicerone.
Di ciò che era stata la villa non c’era più niente, se non le foto delle stanze e alcune foto di scena, come rappresentanza del passato di Luchino Visconti e del senso del luogo.
Eppure quel posto aveva un tale potere da essere animato, come se tutti quelli che erano stati lì ancora lo abitassero.
Una situazione limite, nel senso che il luogo era talmente intriso di Visconti e del suo edonismo estetico da esserne sopraffatti.
Finanche i custodi lo erano, ma la cosa più incredibile accadde quando con il custode salimmo sul tetto e ci raccontò di Berger.
Sul tetto della Colombaia c'era l'alloggio di Berger, alloggio cui si accedeva non solo dal terrazzo ma attraverso un ascensore con vetrate in stile Liberty, ormai trafugate.
Era la gabbia bellissima in cui Visconti lo confinava, per paura di perderlo o semplicemente perché lo voleva per sé, visto che averlo impresso sulla celluloide, affidandogli ruoli estremi e drammatici, non era bastato a domarlo.
E così il custode quel pomeriggio ci raccontò che un giorno Helmut Berger
era arrivato alla Colombaia, e in silenzio si era diretto verso il terrazzo con una bottiglia di whisky, si era seduto e, mentre guardava il giorno spegnersi, aveva consumato la bottiglia di whisky fino al tramonto, sempre in silenzio, e poi nello stesso silenzio, al tramonto, era andato via.
Non era tornato mai più e quel pomeriggio, per me, in quella giostra di ricordi, di emozioni e di morte cristallizzata, anche Helmut Berger era stato intrappolato ed era morto. Un fatto che, oggi, alla notizia della sua morte, vera, un po’ mi dà sollievo, ma è anche legittimo chiedersi, se sia stato giusto e utile, rubare l’anima ad un altro, come fece Visconti con Berger, fino all’annientamento, per riprodurre la bellezza, bellezza che essendo immota è già morta di suo.

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