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L'intervista

Graziano Gala: «Da grande voglio scrivere libri per bambini per accompagnarli nel buio»

Graziano Gala: «Da grande voglio scrivere libri per bambini per accompagnarli nel buio»

Graziano Gala

Graziano Gala, scrittore di Tricase, trapiantato, per lavoro, nella provincia milanese, fa l'insegnante, e sa ascoltare, in silenzio. Lo sa fare talmente bene che il suo silenzio è tattile e fa compagnia, anche mentre mi racconta di sé.
È un silenzio buono il suo, è il silenzio di chi scrive, e il silenzio di scrive assume un valore differente perché è un silenzio capiente per lo spazio che pone tra sé e l'altro, a riprova che scrivere è, per i più talentuosi e consapevoli, una religione laica, potente e indomabile, lo è a tal punto, una religione laica, da essere un’ancora sicura, tale da non avere bisogno di niente altro che di se stessa.

“Sangue di Giuda”, il suo primo romanzo, edito da Minimum Fax, è un romanzo con una sua voce, anzi con una molteplicità di voci che conferiscono al testo potere e magia, e grazie a questo romanzo lei è uscito dal cono d'ombra. Cos’è per lei la lingua?

«La lingua è ciò che fa la differenza nella scrittura. Senza una voce riconoscibile e una lingua nuova non credo si possa parlare di Letteratura, anzi credo proprio che la lingua con cui un autore si afferma, sia la sommatoria di più lingue, come accade nel mio caso, in cui regna sovrano il dialetto. Dialetto che mi serve per caratterizzare i personaggi, ma che è anche il centro di qualsiasi identità, e poiché in “Sangue di Giuda” tutto ruota intorno alla storia di una famiglia disfunzionale, se non utilizzassi il dialetto, e m’inventassi parole, non potrei "sporcare" la storia in maniera onesta, non riuscirei a scrivere con serenità dei disagi esistenziali di chi affolla le pagine del libro. Questa è la mia tecnica, tecnica che ho utilizzato anche in “Ciabatteria Maffei” uscita da pochi giorni per Tetra».

Dal 4 maggio del 2022 Tetra pubblica quattro scrittori con racconti che escono ogni quattro mesi, il giorno quattro del mese a quattro euro ciascuno, due famosi e due un po’ meno, il 4 marzo di quest'anno è capitato a lei. Le è piaciuto esserci?

«Minimum Fax mi ha permesso di scrivere questo racconto dal titolo “Ciabatteria Maffei", racconto in cui il protagonista è un bambino, bambino che vive in una realtà degradata ma che come tutti i bambini la reinventa a suo modo la realtà. È un'esperienza questa di Tetra che mi dà modo di aprirmi anche a nuovi percorsi di scrittura, una cosa che mi piace».

In “Sangue di Giuda” il protagonista invece era lo scemo del villaggio, scemo del villaggio che aveva come compagno di vita il televisore e Pippo Baudo. Perché questa scelta?

«Mi piace utilizzare personaggi fragili per potere incidere fino in fondo sulla pagina e narrare la realtà senza pietismo. Non voglio che il dolore sia nascosto sotto le pieghe delle parole, mi piace farlo sgorgare attraverso le pagine. Per lenirlo lo aggiusto con questo doppio binario di scrittura, da una parte, la realtà nuda e cruda e dall'altra, il sogno, la favola».

Il suo mondo di lingue interrotte e rimpastate è un mondo di analfabeti, come mai?

«È proprio il mio di mondo, il mondo in cui sono nato, e che ho osservato, intimamente, e da vicino.
Quelle parole storpiate mi sono familiari. Ho sempre pensato che fossero scale che potevano portare, chi le usava, altrove e oltre, da qui la mia esigenza di utilizzare la lingua in tutta la sua potente e variegata moltitudine».

Anche in questo racconto, come nel suo primo romanzo, la figura paterna è abnorme e disumana, non è eccessivo?

«I padri per me sono così. Mi rendo conto che possano risultare poco umani e poco rassicuranti, ma non posso farci niente, è il mio modo di esorcizzare il mio vissuto. Ho avuto anch'io un padre con cui era difficile incontrarsi sul piano della realtà e degli affetti. Scrivendone aiuto chi legge a superare queste situazioni, mentre aiuto anche me stesso. Oggi le famiglie disfunzionali sono molte di più di quanto si creda».

Un'altra cosa che dà da pensare sono le lettere, lettere che vengono nascoste perché nessuno sa leggere, non è una contraddizione questa per uno scrittore, questa di scrivere e di nascondere le parole?

«No, non lo è, anche questo è un modo per addolcire la narrazione. Le lettere sono ingiunzioni di pagamento, ma chi non sa leggere perché mai le dovrebbe aprire? Facendo così sposto l’attenzione dal problema, lo rendo meno doloroso. Di fronte all’analfabetismo anche le ingiunzioni perdono la loro carica distruttiva, perché l’analfabetismo è il problema sociale più grande, piu dei debiti, almeno lo è stato per me».

Invece in “Ciabatteria Maffei” questo padre che fa il ciabattino, ma non riesce a stare dietro a sé stesso e alla sua famiglia, arriva a fare una scelta estrema, l’approva?

«Più che la scelta in sé del padre mi interessava portare il bambino alla verità nuda e cruda, e cioè mi interessava porre il bambino di fronte al fatto che, benché vivesse in una famiglia, era stato abbandonato, mai interiorizzato, dalla nascita dai suoi genitori. La scelta estrema del padre a questo punto è una conseguenza, quasi una necessità per lui».

Lei insegna per vivere, le piace?

«Diffido di chi vuole solo scrivere senza che svolga un altro lavoro, almeno io non riuscirei a farlo, perderei molto della vita. Scrivere mi serve per esorcizzare le paure, è un antidoto per me, più che un modo per sbarcare il lunario. E poi l'insegnamento mi piace molto. Adesso stiamo cercando di scrivere a scuola un contro dizionario della lingua italiana con gli alunni. L'italiano, quello ufficiale e parlato da tutti, ha un che di cinematografico, è un italiano bugiardo».

Come trascorrere il suo tempo libero?

«Nel mio tempo libero leggo con voluttà. Finalmente posso comperare tutti i libri che fino a oggi non ho potuto possedere, erano troppo costosi, e poi vado nei posti che non piacciono agli altri, lì si trovano spesso gli altri appartati, quelli che come me ricercano la solitudine per riflettere, fluttuare».

Cosa sogna?

«Sogno di scrivere libri per bambini, sogno di poterli accompagnare insieme ai genitori nella notte, senza che le facciano guerra, così da poterci farce pace io con la notte, finalmente».

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