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Analisi

Santisti, massoni e Vaticano: i «riservati» e i «riservatissimi»

Santisti, massoni e Vaticano: i «riservati» e i «riservatissimi»

Una cosa davvero rara che accada è il pentimento di un esponente dell’handrangheta, in quanto i legami familiari su cui si basa tale organizzazione li rende più saldi, ma qualche volta avviene. È il caso di Nino Fiume, braccio destro del boss di Reggio Calabria Giuseppe De Stefano, col quale era stato anche cognato. “LaCNews24” pubblica il 16 febbraio 2023 (allegando l’audio fatto ascoltare il 14 febbraio nel corso della quinta puntata di “Mammasantissima - Processo all’handragherta”) le dichiarazioni fatte al Procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo di Fiume, il quale spiega che il metodo inaugurato dai De Stefano è fondato sull’inserimento di persone che non risulterebbero affiliate a nessuna cosca, provenienti dalla massoneria “deviata”, divise a loro volta tra “riservati” e “riservatissimi”, ovvero, quelli che “vanno in aereo”, onde raggiungere le città in cui l’handrangheta ha eretto le proprie società nel Nord Italia in particolare. Fiume dichiara al Procuratore: “dottore questa è la forza, perché è una persona che non la conosce nessuno. Si presta. Sembra che non è affiliato, però quasi quasi comanda di più, perché è quello che riesce ad interagire in determinate situazioni”.
“LaCNews24” afferma che fin dagli anni ’70 le logge massoniche deviate hanno fatto a gara per accogliere esponenti dell’handrangheta tra loro, creando la “dote” della “Santa”, che sono dei gradi. Per esempio, ricevere la “Stella”, vuol dire che sei un grado sotto quello della “Mammasantissima”. Ottenere una di queste “doti” vuol dire far parte di una cerchia ristretta di eletti provenienti da mondi diversi, delle istituzioni.
Fiume spiega: “Ma non bisogna criminalizzare perché come ho sempre detto io dal primo momento della mia collaborazione, la massoneria ispirata a princìpi filantropici e in aiuto dell’umanità, riconosciuta, è una cosa, quella delle logge deviate che ha a che fare con le altre persone che viaggiano in aereo è tutta un’altra cosa, è lì tutto il cruccio della situazione”. Dalle dichiarazioni di Fiume, emerge che Milano è al centro dell’attenzione dei boss reggini, precisamente ribadisce al Procuratore: “I soldi di Milano, la maggior parte dei soldi di Milano, Peppe De Stefano e Franco Coco si vestivano da preti e li portavano in Vaticano, è tutta una storia complicata”.
Le grandi quantità di denaro depositato dalle organizzazioni criminali nello IOR, la banca del Vaticano, non sono una novità. Il pentito Gaspare Mutolo, collaboratore di Totò Riina, il 21 aprile 2013 venne intervistato dal fondatore di “Antimafia Duemila”, Giorgio Bongiovanni. Rivelava: “Con noi la Chiesa a livello nazionale e regionale è stata sempre d’accordo, diciamo. Nei paesini, ad esempio, chi comandava era il mafioso, il maresciallo e il prete. Negli anni ’80, Cosa Nostra toccava davvero il cielo con un dito. La mafia non aveva problemi, ed essere mafiosi era come avere una garanzia. Sapevamo che i soldi messi nella banca del Vaticano erano al sicuro perché non ci sono controlli”. Quando Bongiovanni gli domandò se tra gli uomini d’onore si parlasse del vescovo Marcinkus e Calvi, risponse: «Se ne parlava. Ricordo che me lo diceva Nino Madonia (boss capomandamento membro della Cupola) ma se ne parlava anche con altri come Gaetano Carollo, Enzo Galatolo, Salvatore Micalizi (uomini d’onore). Sapevamo che tramite il banchiere Roberto Calvi i soldi entravano in Vaticano ed erano al sicuro. Raccontai anche un episodio al giudice di Roma. C’era un certo Lena che mi parlò di un reato che aveva commesso con Flavio Carboni riguardo alla stampa di soldi nigeriani che servivano per far fallire un Paese. Questo tale Lena era preoccupato perché avevano trovato uno scambio di lettere con un prete a proposito di una borsa di Calvi, con 600 milioni, che veniva data ad un prete. Questo Lena scambiò la borsa con degli assegni e quando andò ad incassare il prete non li aveva pagati. Al che Lena gli disse: “Va bhe, a me non interessa se non li paghi, tanto li pagherà Giulio”, riferendosi ad Andreotti. I soldi venivano investiti ovunque, anche perché arrivavano a palate soprattutto per il traffico di droga. E questi venivano investiti in borsa, all’estero e in Italia».

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