IL MATTINO
Carnevale
14.02.2023 - 18:50
Il carnevale è coriandoli sparati in aria da bambini in festa, è dolci tipici preparati per l’occasione, è un momento di spensieratezza che coinvolge tutti a prescindere dall’età anagrafica. C’è un simbolismo, però, che si cela dietro alcune maschere e che, molte volte, si ignora; la prima ad indossare la maschera nel periodo del carnevale in Basilicata è la tradizione. La tradizione ha celebrato il suo primo carnevale travestendosi da qualcos’altro moltissimi tempo fa e lo ha fatto per dei motivi poco scontati, anzi precisi. A Lavello “lei” ha deciso di vestire i panni del Domino e oggi grazie a chi si impegna per salvaguardare il carnevale lavellese possiamo ancora incontrarla nei “festini” che si organizzano in paese. Il Gruppo Folk Lavello, con il suo presidente Michele Fornelli ― anche presidente regionale della Federazione Italiana Tradizioni Popolari― e con il suo segretario Matteo Caggiani, anche quest’anno dona alla cittadinanza e a chiunque voglia prendervi parte un carnevale storico e contaminato da novità, tutti i sabati sera dal 21 gennaio al 25 febbraio. Il Mattino ha dato la parola alla professoressa Maria Gentile, ricercatrice e storica del territorio e delle tradizioni popolari lavellesi che ha approfondito per noi ogni aspetto inerente al Carnevale di Lavello.
Il carnevale di Lavello è parte integrante dei carnevali storici lucani. Tuttavia rispetto ai restanti è, forse, quello più folkloristico e che spinge maggiormente sulle danze fino a notte fonda. Come ha avuto origine? Come si è evoluta nel tempo la sua maschera identitaria, il Domino?
«Il carnevale lavellese inizia il 17 gennaio, giorno di sant’Antonio Abate; prosegue ogni sabato notte fino alla prima domenica di Quaresima, con la consueta sfilata dei carri allegorici. Il Carnevale di Lavello, pur essendo parte integrante dei carnevali storici lucani, presenta una sua unicità ed una tradizione culturale che gli ha permesso di resistere al tempo e alle innovazioni. Per entrare nel cuore di questo evento bisogna tornare indietro nel tempo quando il popolo, fatto per lo più di contadini, di pastori e di piccoli artigiani, era schiacciato dalle leggi durissime del signore, Dominus, padrone delle terre e delle vite dei “cafoni” e da quelle, non meno intransigenti, della Chiesa di Dio. Il carnevale rappresentava l’unico momento in cui, con un’inversione di ruoli, si poteva, sotto la maschera, prendere in giro il padrone e dimenticarsi delle ferree leggi della Chiesa; dietro la maschera ognuno poteva sentirsi “Domën e DDeië”, “Signore e Dio”. Ma, pur nell’inversione dei ruoli, in senso anticlericale, la maschera conservava riti e gestualità delle confraternite religiose. Il vestito Domën, Domino, era composto, in origine, da un saio bianco, da una mantellina nera e da un cappuccio nero a forma di cono da cui si potevano intravedere solo gli occhi e si rifaceva al costume utilizzato dalla Confraternita della Buona Morte. Successivamente diventa una tunica di raso nero con mantellina ricamata di figure simboliche e completata da U’ Pappëloscë, ovvero un cappuccio, e da una maschera di tela che copriva completamente il viso. A corredo del vestito vi erano una o due sacche per i confetti da donare alla dama dopo aver ballato. In seguito il Domino assume il caratteristico colore rosso legato a una simbologia rituale che è propria della Chiesa Cattolica, ma anche ai riti pagani, baccanali».
C’erano delle regole ben precise a cui attenersi per prendere parte al cosiddetto “festino”?
«Anticamente a mascherarsi erano solo gli uomini. Il copël, gruppo delle maschere, guidato da un “conduttore” non mascherato entrava nei “festini” e doveva rispettare alcune regole: non poteva scegliere la dama ma doveva seguire la disposizione delle sedie sistemate in modo circolare e dare i confetti dopo aver ballato nel più assoluto anonimato. Quello del ballo era l’unico momento in cui i ragazzi, sotto la maschera, potevano scambiare con le ragazze fugaci parole d’amore. Ogni gruppo aveva diritto a fare due balli ed era invitato a rispettare gli arredi, che spesso, fra l’euforia della musica e del vino, finivano in frantumi. Era allora ed è ancora oggi un grande momento di socialità e di condivisione collettiva. A mezzanotte la porta dell’abitazione si chiudeva e si imbandiva la tavola, convivio francescano, a cui tutti gli invitati partecipavano con piatti preparati in precedenza: la tiella di patate e lambascioni (cipolline selvatiche), il baccalà arraganato al forno, le salsicce ed il vino. Nei festini venivano eseguite, da piccole orchestre, musiche e danze popolari del territorio».
Cosa fa oggi il Gruppo Folk I F’st’nidd?
«Il gruppo folk I F’st’nidd si inserisce nel solco della tradizione: ricerca e ripropone musiche e balli popolari tradizionali ma con uno sguardo al futuro, parla alle nuove generazioni con la produzione di nuovi testi musicali e danze legate al territorio e a questo carnevale così speciale. Il Carnevale di Lavello è tutto questo, ma anche molto di più».
A conferma dell’importanza che questo carnevale ha avuto e conserva tutt’ora in Basilicata e, più in generale, sul territorio nazionale sarà presentato sul palcoscenico in piazza San Marco a Venezia, dal 15 al 17 febbraio, così che tutti i presenti possano conoscere la figura del Domino.
edizione digitale
Il Mattino di foggia