IL MATTINO
Analisi
29.01.2023 - 16:01
Il frammento di Menandro (111 K.-Th) «muor giovane colui che gli dei amano» (hon oi theoi philusin apothnēskei neos), noto soprattutto grazie alla citazione fattane da Leopardi (epigrafe del suo Amore e morte «muor giovane colui ch’al cielo è caro»), è diventato consolatoria cifra laica per la morte giovanile » ma anche un desiderio per chi vive d'immagine, e la prova ce la danno tutti quelli che sono morti anzitempo, e senza che niente abbia inciso su di loro in maniera massiva.
Sono rimasti nel ricordo degli altri belli, innocenti, come se mai la realtà li avesse sporcati o toccati.
La ragione? L’allungamento della vita non ha garantito a nessuno la possibilità di continuare ad esistere per come si percepisce, e cioè autonomo ed efficiente, e questo in chi vive d'immagine è un fardello ingombrante. In fondo si vive sommando giorni ai giorni, e si tende a vedersi più o meno uguali, anzi si guarda a se stessi in maniera abbastanza convenzionale, nel senso che si scende a patti con lo specchio, con le diete, se è necessario, e se si è davvero masochisti, un po', si approda anche al chirurgo plastico, sperando che il tempo lo capisca e ci grazi.
Non accade mai anche perché il tempo che passa recide affetti, procura affanni, e ci rende indissolubilmente soli, di quella solitudine che necessita di accudimento più che di compagnia. Per arrivare a comprenderlo serve fare un passaggio complesso, paesaggio complesso che spesso non si è disposti a fare, quando si vive sotto i riflettori, come è accaduto a Gina Lollobrigida, che non ha avuto una vita breve e nemmeno scarsamente interessante, ma che nell’epilogo ha messo in luce tutti questi nervi scoperti, un fatto questo che è utile indagare, non tanto per fare le pulci al suo privato, ma proprio perché l'epilogo della sua esistenza ci racconta in che modo, oggi, molti scelgono di vivere e di morire, non solo lei.
La signora Lollobrigida è stata una star, e probabilmente mal sopportava l’avanzare del tempo, e avrebbe voluto continuare a esistere a suo modo, e cioè libera e bella e sotto le luci dei riflettori, in maniera piana, sicura.
Una cosa tutt'altro che discutibile ma che fa a cazzotti con una qualsiasi vita minimamente strutturata, una vita fuori dalla levigatezza delle scene, e cioè una vita fatta di figli, di compagni, di badanti. Queste due vite, la pubblica e la privata, presupponevano in questo caso sempre la stessa recita, quella in cui esiste solo la protagonista, pena l'esclusione dalla pellicola degli altri partecipanti.
Insomma la signora Lollobrigida era una decisionista.
Eppure molto spesso il decisionismo è la faccia, malata, della fragilità, tanto che i decisionisti amano circondarsi solo di persone che gli danno sempre ragione, e questo fatto fa sì che il protagonista/decisionista venga spodestato senza che se ne renda conto.
Nessun figlio, anche il più affettuoso, sarà sempre in armonia con i genitori, è una conseguenza logica e di vita, soprattutto se i genitori continueranno a vedersi potenti rispetto al figlio, e meno che mai un figlio mostrerà affetto nei confronti di genitori fortemente convinti di dovere utilizzare anche il danaro per mantenere il potere in cambio di attenzioni.
Le cronache e la vita sono piene di situazioni sì fatte, eppure la gran parte degli esseri umani procede per questa strada.
Se questo accade è proprio perché a mano a mano che il tempo passa la solitudine diventa l'unica compagnia per ognuno di noi, la sola presenza costante, e niente può contrastarla, nemmeno l'illusoria convinzione di avere dei valletti a disposizione, valletti che come le mosche sul miele sono affamate e giocano con la paura della solitudine di un altro in cambio di favori.
È una ricostruzione verosimile, che non necessariamente deve essere esatta per la signora Lollobrigida ma che potrebbe calzarle a pennello, anche perché si trattava di una donna che si era fatta da sola, e che nonostante il successo, i gioielli, le case, le auto lussuose, e la capacità di poter vivere tutte le vite che le pareva, un po' pativa il confronto con l’altra/l'ultima diva italiana, moglie del potente produttore e regina della famiglia e della casa, e un po' non ce la faceva proprio ad accettare il tempo che passava e la solitudine che questo le procurava.
Adesso tutto il chiacchiericcio che la sua morte ha provocato mette in luce l'altro lato della sua medaglia, un lato che se fosse morta giovane non sarebbe mai venuto fuori. Avrebbe avuto il tempo di rinchiudersi nel suo bozzolo divino, adorno di sete e di pietre preziose, e il figlio sarebbe stato un orfano e non un uomo invecchiato molto più di sua madre.
Se qualcosa ci insegna la morte di chi c’è caro, sempre che il de cuis non ci abbia messo prima un carico di freddezza, soldi e decisionismo, è che la morte serve a liberare chi se ne va e chi resta, perché chi se ne va deve essere ricordato con affetto e serenità, e chi resta deve poter vivere con dignità, e liberamente la propria solitudine, senza la stampella ingombrante di un genitore troppo solo ed egoista da poterlo comprendere in vita.
Le storie delle vite degli altri, in maniera particolare se famosi, illustri forse no, servono a farci riflettere, e certe volte anche a farci crescere, per questa ragione sarebbe bello lasciarle perdere queste vite, il rischio è di rimestare spazzatura, e poi fino all'altro ieri la Lollobrigida ci piaceva in quanto diva, della donna poco c’importava, come era giusto che fosse, non la conoscevamo dal vero, e così dovrebbe continuare a essere.
Piuttosto cerchiamo di allenarci con la nostra di solitudine, nessuno lo farà mai al posto nostro, così da liberarci già da vivi dal peso della morte.
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