IL MATTINO
L'analisi di Andrea Casa, insegnante e pedagogista
02.12.2022 - 18:32
Andrea Casa, insegnante e pedagogista, si è laureato in Pedagogia presso l’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli. Ha conseguito un Master in Didattica dell’Italiano L2 presso l’Università Giustino Fortunato di Benevento. Ha conseguito, inoltre, una seconda laurea in Lettere presso l’Università telematica E-Campus. Vive a Sorrento, cittadina nel cuore della Penisola Sorrentina. Ama la vita, l’arte, il mare e la bellezza in ogni sua forma. Pone il suo pensiero dalla parte degli ultimi. È da sempre interessato a contribuire attivamente al dibattito democratico e, nello specifico, al rapporto tra democrazia ed educazione. Dare spazio e attenzione alle parole del Dott. Casa è fondamentale per la costruzione di un pensiero logico che ancori le sue radici in un costrutto di educazione, rispetto ed uguaglianza.
“Mettere mano al Reddito di Cittadinanza senza mettere prima mano agli stipendi da fame, ai lavoratori sfruttati e alla creazione di un mercato del lavoro serio, dignitoso e legale non può far gioire nessuno. Il lavoro è dignità, è fatica, è retribuzione regolare e proporzionale alle ore lavorate; è emancipazione. Il lavoro non è sfruttamento, non è guadagnare tre euro lordi all’ora, non è avere un contratto da quaranta ore settimanali e farne ottanta. Il lavoro legale non dovrebbe essere mai “a nero”. Lavorare non può significare morire mentre si sta guadagnando da mangiare. Lavorare non è tirocinio perenne perché “tanto sei un ragazzo”. Purtroppo, spesso è proprio il lavoro la genesi delle diseguaglianze, le quali si portano dietro risvolti educativi e sociali. Ma andiamo per ordine. Ormai è risaputo che nel mondo contemporaneo poche persone, da sole, detengono un patrimonio smisurato: la concentrazione della ricchezza in poche mani contraddistingue il nuovo ordine mondiale. Il tutto condito da un’incertezza globale contornata da una complessità dei processi sociali: l’immigrazione, le guerre, la crisi energetica, la recessione economica, l’inflazione e l’impoverimento delle classi intermedie. Proprio quest’ultimo punto dovrebbe rappresentare la vera emergenza di chi governa. I figli del ceto medio ormai difficilmente hanno accesso ad un’istruzione di qualità e a servizi sanitari efficienti. Per non considerare i poveri, gli emarginati e gli esclusi. È dal lavoro che il gioco democratico ha inizio e a cui la nostra società dovrebbe volgere lo sguardo. D’altronde la nostra Costituzione fin da subito pone le sue fondamenta sul lavoro, il quale è essenza della dignità della persona ed espressione di libertà e futuro. Come si può essere ambiziosi senza un lavoro che ti dia un ruolo sociale e “un posto nel mondo”? Come si possono raggiungere gli obiettivi prefissati di una vita senza un lavoro? E, oserei di più, come si può sognare una vita migliore in un Paese in cui il lavoro o è assente o è sfruttamento e frustrazione? Allora viene da sé che il RdC con una prevalente accezione pedagogica può e deve essere quello strumento in grado di reinserire gli ultimi in un mercato tutto da ricostruire: un nuovo mercato del lavoro più equo e più democratico. Solo allora il nesso tra democrazia e educazione, già sostenuto da Dewey, sarà la vera svolta in grado di ridefinire una nuova identità dell’“uomo tutto intero”. Ciascuna donna e ciascun uomo non dovrebbero mai rinunciare a provare, per fare nella propria vita ciò che vorrebbero veramente essere: dove c’è amore e ispirazione, non credo che si possa sbagliare. Come direbbe Aristotele “il piacere nel lavoro aggiunge perfezione al compito che svolgiamo nella società”. Quindi, riforma seria e umanizzante del lavoro prima. Riforma del Reddito di Cittadinanza in chiara ottica inclusiva ed educativa poi. Per concludere. Come si può immaginare la graduale abolizione del RdC in zone del nostro Paese dove il lavoro è quasi del tutto assente? Come si può pensare di togliere il pane a migliaia di bambine e bambini senza che i loro genitori, oggi, abbiano accesso a seri percorsi formativi per essere inseriti in un mercato del lavoro dignitoso? Come si può restare a guardare senza far nulla dinanzi ad uno scellerato spettacolo che contrappone privilegiati e svantaggiati? Lo Stato ridia dignità alla persona e al suo tempo; solo allora potrà occuparsi meno della sussistenza dei suoi cittadini più poveri economicamente ed educativamente. Un’utopia? Forse si. Ma d’altronde a cos’altro potremmo auspicare?"
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