IL MATTINO
Territorio
29.11.2022 - 16:30
La Basilicata ha un suo nuovo racconto, si tratta dell’ultimo lavoro dello scrittore Sergio Ragone, Breviario Lucano. Edito Universo Sud, si apre con la prefazione del direttore dell’Apt Basilicata, Antonio Nicoletti, ed è una creazione frutto della collaborazione con il fotografo Giuseppe Lotito. La Basilicata aveva realmente bisogno di un ulteriore chiave di lettura? Se ci si pone questa domanda prima di sfogliare le pagine di questo testo dalla prima all’ultima, al termine la risposta non potrà che essere affermativa. Sergio Ragone attraversa più luoghi come se visitasse la sua terra con lo sguardo di chi già la conosce e la consapevolezza che una nuova scoperta, inaspettata, è dietro l’angolo. Si potrebbe considerare un prodotto indirizzato a chi nel Sud non ci hai mai messo piede e non ne conosce la cadenza del tempo, il miscuglio tra vecchio e nuovo e la genuinità delle persone. Il Breviario Lucano è anche rivolto a chi vive la Basilicata in quanto residente, domiciliato o ambo le cose ma ha smesso di farsi domande su ciò che è e ciò che potrebbe diventare o ne ha dimenticato la forza e le potenzialità. Infine, tocca la sensibilità di chi l’ha salutata con la mano da molto e ha nel cuore un pezzetto di amarezza. Non solo parole ma anche immagini e geolocalizzazione dei luoghi, per dare la possibilità a chi si immerge in un testo e in un’atmosfera di capire dove si trova e di farvi un salto con la mente nell’immediato o con il corpo in futuro. Nei testi di Ragone si distingue una Basilicata bipartita: una porzione di terra è disabitata dall’uomo e un’altra, sopravvissuta, occupata da chi ti cede un posto a tavola e condivide con te del buon vino, del pane fresco, delle parole gentili e un piatto di grano. Se nell’accoglienza si consuma il contatto umano tra l’autore e i locali è nella solitudine della visita che incontra gli altri “abitanti” del luogo, intangibili ma di sostanza. Uno di questi gli fa compagnia ad ogni passo ed è la memoria, i ricordi che affiorano e quelli che non sono mai andati via e che sono ciò che di più intimo e familiare abbiamo in vita. Il rapporto tra Ragone e la Basilicata è a tratti spigoloso, d’altronde tutte le storie d’amore più vere sono intinte da una tonalità di “odio” e se da un lato si lascia andare a queste parole “Avere ambizioni più alte degli alberi e delle montagne che lo circondano, che sembrano proteggerci ma invece ci confinano, in un piccolo mondo antico, che ormai è solo un ricordo. Che non è più per questo mondo”, d’altro ammette di non poter fare a meno di “lei” “Ma è soprattutto il bisogno di riaverla quando manca, il sogno esigente di ritornarci”. Gli scatti di Giuseppe Lotito restituiscono in forma di immagine i testi dell’autore. Lo sguardo del fotografo vaga, come farebbe quello di un esperto viaggiatore, tra panoramiche e dettagli: un uccello che alleggia sui calanchi, una sedia in legno che attende, un pallone dimenticato, una croce in legno che segnala un punto in particolare, un portone socchiuso da un lucchetto o gli attrezzi di un antico mestiere. Di umano, ad un primo sguardo, in queste foto, ritroviamo solo le mani ruvide al lavoro, che intagliano un impasto, ma c’è altro: l’umanità lucana si cela proprio dentro gli oggetti e all’interno delle case fotografate da Lotito e anche se non visibile è immaginabile. Tra i soggetti che più spesso si ripetono vi è la “strada” che muta di continuo, ritratta in momenti della giornata e in stagioni differenti, asfaltata o in terra battuta, ma sempre aperta all’accoglienza. Un libro dalla copertina onirica che sa comunicare quello che la Basilicata è realmente, un contenitore in subbuglio in cui i genitori si separano dai figli che cercano un futuro altrove ma in cui, allo stesso tempo, la natura primordiale dei luoghi e delle abitudini ha avuto l’occasione di preservare la sua identità. Questo significa che se la Basilicata avesse ceduto al progresso i suoi boschi, il silenzio struggente e malinconico dei suoi vicoli, i suoi paesi spopolati in cui non c’è vita ma il senso della vita si avverte come un pugno con tutta la sua semplicità ed essenza, forse a quest’ora non avrebbe più avuto senso di esistere. Ed è nel silenzio che Ragone, a tratti, si raccoglie, un silenzio che “Ti consiglia. Ti porta altrove. Ti violenta. Ti addormenta. Ti ripara. Ti sveglia”. Tra le righe un invito ad un risveglio senza paura “Non avere paura del nome delle cose, dei nomi delle città, delle città senza nomi, delle cose senza nomi, delle città con le cose”. Un testo da leggere e rileggere perché fa bene al cuore.
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